Bernini e Caravaggio

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Inferno, Canto V, vv. 100 - 105

Il cuore nobile di un artista, sensibile alla bellezza e all'emozione, immediatamente e senza via d'uscita viene rapito dall'Amore, come colpito da una freccia.
Un sentimento che divampa nell'anima, mistico e sensuale, in grado di travolgere i sensi; ma fin dove può arrivare l'Amore? Dante lo descrive nella sua totalità; è eterno, parte del divino, soprattutto non permette a chi è amato di non restituire almeno una scintilla di quanto ricevuto. L'Amore può tutto, è capace di far creare all'uomo dei capolavori, ma a volte è così forte da non poter essere dominato, è passione, dannazione. È la storia di Gian Lorenzo Bernini e Caravaggio, i due uomini che hanno segnato un secolo, il Seicento, cambiando per sempre la storia dell'arte.

Un angelo che con un dardo dorato trafigge il cuore di Santa Teresa d'Avila; nella Cappella Cornaro, in Santa Maria della Vittoria a Roma, Bernini ha scolpito, infrangendo i limiti della freddezza del marmo, la vetta più alta dell'amore, quando il divino irrompe nell'umano.

L'autore si rifece fedelmente alle parole della santa: “il dolore era così intenso che io gridavo forte; ma contemporaneamente sentivo una tale dolcezza che mi auguravo che il dolore durasse in eterno. Era un dolore fisico ma non corporeo, benché toccasse in una certa misura anche il corpo. Era la dolcissima carezza dell’anima ad opera di Dio”. L'eterno, Dio, che accarezza l'uomo, una sua creatura, un concetto in cui ci si può perdere al solo pensiero.

La pittura di Caravaggio non è inferiore nel riuscire a spiegare il sentimento dell'amore in Vocazione di San Matteo. Qui l'infinito sconfigge le tenebre, in una chiamata che inonda il cuore di luce e salva dall'oscurità l'apostolo.
Per l'artista l'opera ha un significato privato, per questo trasmette così a fondo l'intensità di quell'attimo, donandone un'interpretazione unica. Nel dipinto c'è la sua anima, segnata dai momenti cupi e dagli episodi violenti della sua esistenza; nella sua arte Caravaggio ripone tutte le speranze, la ricerca della fede, respingendo la disperazione e scegliendo la vita.

"Penso che non ci sia niente nelle tenebre e ci sia tutto nella luce... Scelgo la luce".

Tuttavia, nonostante la sensibilità e la capacità di contenere in sé sentimenti così grandi, le anime inquiete e ribelli, i temperamenti focosi e determinati, causarono ai due artisti molte sofferenze e delusioni nelle loro vite.
La sera del 28 maggio 1606, a seguito di una discussione con Ranuccio Tommasoni, con cui già in precedenza era arrivato alla rissa, Caravaggio fu ferito e, a sua volta, in preda all'ira, ferì mortalmente il rivale. Condannato alla decapitazione, Caravaggio fu costretto a fuggire, portandosi costantemente con sé la paura di perdere l'anima nell'abisso oscuro delle tenebre.

Il motivo di tale episodio era legato a ragioni sentimentali. La gelosia, l'odio che si manifestano in Caravaggio sono dovuti al contendersi, con Tommasoni, le grazie di Fillide Melandroni, amante di entrambi. Proprio la donna è ritratta nella Decapitazione di Oloferne; ella con freddezza e tranquillità, lentamente, ma in modo deciso, taglia la testa della sua vittima sorpresa nel sonno. Solo le braccia tese e l'espressione del viso sembrano manifestare un certo orrore per ciò che sta compiendo. Una anziana serva assiste inorridita alla scena mentre sorregge con le mani il drappo contenente il cesto nel quale andrà conservata la testa. Il quadro lasciò sbigottito il pubblico dell'epoca; mai, prima di allora, un pittore aveva osato rappresentare in questo modo un episodio di morte violenta, illustrando l'omicidio in maniera così realistica. La paura di essere ucciso e la passione carnale per la donna avevano però segnato per sempre l'arte del Caravaggio, come mostra il suo celebre autoritratto nel Davide con la testa di Golia. Il pittore appare stanco e sofferente, con pesanti segni sotto gli occhi e la fronte piena di rughe.

Storia di amore violento è anche quella del Bernini, il quale ebbe la sfortuna di innamorarsi di Costanza Bonarelli, una donna bellissima e sensuale, ma infedele e incapace di amare.
Già in una delle prime sculture che lo resero celebre l'artista affrontò il sentimento dell'amore a cui non si può rinunciare, quello che conduce a una passione insana che porta infine al topos di amore e morte. Plutone, dio degli Inferi, innamoratosi della bella Prosèrpina, la rapisce per portarla nella sua dimora. La giovane si dimena e alza le braccia per staccarsi dall'uomo in un movimento di torsione, ma è ormai troppo tardi, il padre della dea ottiene da Giove la liberazione della figlia per soli sei mesi l'anno.

Ancora da un racconto mitologico nacque un altro capolavoro di Bernini, Apollo e Dafne. Anche qui una sensualità sconvolgente, un giovane che, vinto da Amore, insegue affannosamente l'amata, quasi disperatamente, senza sapere dove questo sentimento lo porterà. Nell'opera non vi è però la violenza caravaggesca, forse l'autore stesso si immedesima nel soggetto raffigurato, assorto in una follia di emozioni provocata dalla bellezza della donna. Secondo le Metamorfosi di Ovidio, Apollo, colpito da una freccia di Cupido, si innamora della ninfa Dafne. Questa, per sfuggirgli, implora al padre Peneo di salvarla; così, al tocco di Apollo viene trasformata in albero di alloro. Alla base del gruppo scultoreo fu incisa la frase: “chi ama seguire le fuggenti forme dei divertimenti, alla fine si trova foglie e bacche amare nella mano”.

L'autore dunque, accecato dall'amore, si era lasciato trascinare dalle umane passioni per il seducente aspetto di Costanza, senza accorgersi del vero carattere della donna. Lui, che in un busto l'aveva scolpita in modo così sublime, con la tenerezza di un innamorato, riuscendo magistralmente a rendere il marmo vivo per donarle eternità, fu tradito nel peggiore dei modi. Costanza intrecciò infatti una relazione anche con il fratello minore dell'artista, il quale, come una furia, decise di cogliere in flagranza i due amanti, dopo aver detto loro che sarebbe partito per un viaggio. Aspettò la notte e fece finta di essere tornato all'improvviso. Sorprese il fratello mentre usciva dalla casa di Costanza. Lo aggredì, colpendolo più volte; lo avrebbe ucciso se dei passanti non lo avessero fermato.

Poco dopo Bernini si sarebbe consolato sposando nel 1639 Caterina Tezio, che gli sarebbe rimasta fedele compagna sino alla morte. Fu un matrimonio felice, coronato dalla nascita di numerosi figli.
Caravaggio, costantemente in fuga nella sua breve esistenza, portò sempre nel cuore l'affetto per un giovane ragazzo di nome Mario Minitti, suo allievo e modello. Tra le varie donne che aveva amato di ardenti e disperate passioni, quello era l'unico rapporto capace di infondergli pace e serenità nei suoi ultimi istanti di vita. Era quel genere d'affetto che si instaura tra il maestro, che ha esperienza e intelletto, e l'allievo, il quale ha dalla sua la gioia di imparare e lo splendore della vita davanti.

Tra tanti affanni e incomprensioni, poteva forse rincuorarsi di aver fatto del bene e aver ricevuto l'amore di cui sentiva costantemente bisogno; quella era l'unica certezza, ciò che lo aveva portato all'apice della creazione artistica, quella sua luce lo aveva salvato.

"Le sue mani mi scaldavano il cuore, le sue carezze, come le mani delle donne, le mani dell'amore... Senza differenze, amore, né pagano né cristiano, l'amore di tutti gli amori".