L'innocente

Romanzo di Gabriele d'Annunzio datato 1892, L'innocente appartiene al ciclo dei "Romanzi della Rosa", seguendo Il piacere e anticipando il Trionfo della morte.
Specchio della società di fine Ottocento e dell'Italia del regno di Umberto I, periodo noto come "età umbertina" che a livello europeo coincide con la Belle Époque, L'innocente non riprende il decadentismo proprio di Andrea Sperelli, protagonista della Roma estetizzante dei palazzi aristocratici e delle nobili dimore patrizie, ma non anticipa nemmeno totalmente l'avvento del superuomo nietzschiano come farà il Trionfo della morte, sebbene sia evidente la lettura del filosofo tedesco da parte del romanziere.
Protagonista è il nobile Tullio Hermil, che vive a Roma con la moglie Giuliana, sposata da sette anni e con cui ha avuto due bambine, Maria e Natalia. Elegante e ricco uomo mondano, spadaccino dai gusti raffinati, Tullio mostra sin da subito un temperamento inquieto, a cominciare dalla rivelazione della prima pagina del libro, la dichiarazione del delitto di cui ricorre l'anniversario, nel quale perse la vita un povero fanciullo innocente.

Andare davanti al giudice, dirgli: «Ho commesso un delitto. Quella povera creatura non sarebbe morta se io non l'avessi uccisa. Io Tullio Hermil, io stesso l'ho uccisa. Ho premeditato l'assassinio, nella mia casa. L'ho compiuto con una perfetta lucidità di conscienza, esattamente, nella massima sicurezza. Poi ho seguitato a vivere col mio segreto nella mia casa, un anno intero, fino ad oggi. Oggi è l'anniversario. Eccomi nelle vostre mani. Ascoltatemi. Giudicatemi». Posso andare davanti al giudice, posso parlargli così?
Non posso né voglio. La giustizia degli uomini non mi tocca. Nessun tribunale della terra saprebbe giudicarmi.
Eppure bisogna che io mi accusi, che io mi confessi. Bisogna che io riveli il mio segreto a qualcuno.
A CHI?

Sebbene si comporti come un arrogante narcisista, dissoluto e crudele nei confronti degli altri e della moglie, il protagonista manifesta anche un recondito desiderio di purezza che, in contrasto con il proprio egoismo, porta all'esasperazione la sua complessa personalità sapientemente descritta dalla penna del Vate. Pur tradendo ripetutamente la moglie, vivendo un'intensa passione con l'affascinante Teresa Raffo, nel momento del bisogno saprà esserle vicino con premuroso e sincero affetto, cercando di rinnovare un sentimento ormai sopito, anche a livello erotico, aspetto estremamente moderno. Pur dichiarando di aver provato per Giuliana un amore maggiormente vicino a quello per una sorella - quindi d'amicizia e di confidenza, rivedendo in lei la sorella Costanza, morta precocemente - sembra riuscire a starle accanto anche quando scoprirà a poco a poco dell'infedeltà della donna, che, stanca dei tradimenti, si lascerà trasportare da un unico moto peccaminoso che si riverserà su un innocente neonato più che sulla sua vita di ambigua complice o di quella del marito.
Tullio, riscoprendo l'affetto verso la moglie, "quella dolce e nobile donna che io sapevo intellettuale", si recherà per una settimana a Firenze con Teresa, mentre Giuliana, mostrando una straordinaria capacità di sopportare l'ennesimo tradimento, "anche questa volta aveva saputo tacere". Sembra essere proprio questo suo essere impenetrabile ad accentuare l'intimo dissidio del protagonista, che gira in solitudine per le strade di Roma per cercare sollievo alla propria inquietudine, restituendo al lettore i suoi pensieri attraverso alcune pagine fortemente introspettive.

E un'onda tumultuosa di rammarico, di tenerezza e di pietà mi assalse. E tutto avrei dato perché ella avesse potuto leggermi l'anima, in quel momento, perché ella avesse potuto raccogliere intera la mia commozione irrivelabile, inesprimibile e quindi vana. «Perdonami, perdonami. Dimmi quello che io debbo fare perché tu mi perdoni, perché tu dimentichi tutte le cattive cose... Io tornerò a te, non sarò d'altri che di te, per sempre. Te sola veramente io ho amata, nella vita; amo te sola. Sempre la mia anima si volge a te, e ti cerca, e ti rimpiange. Te lo giuro: lontano da te, non ho provato mai nessuna gioia sincera, non ho avuto mai un attimo di pieno oblio; mai, mai te lo giuro. Tu sei la più buona e la più dolce creatura che io abbia mai sognata: sei l'Unica. E ho potuto offenderti, ho potuto farti soffrire, ho potuto farti pensare alla morte come a una cosa desiderabile! Ah, tu mi perdonerai, ma io non potrò mai perdonarmi; tu dimenticherai, ma io non dimenticherò. Sempre mi parrà d'essere indegno; neppure con la devozione di tutta la mia vita mi parrà di averti compensata. Da ora innanzi, come un tempo, tu sarai la mia amante, la mia amica, la mia sorella; come un tempo, tu sarai la mia custode, la mia consigliera. Io ti dirò tutto, ti svelerò tutto. Sarai la mia anima. E guarirai. Io, io ti guarirò».

Insieme al desiderio di poter riavere accanto l'amata come un tempo, con la stessa intensità di affetto e di passione, cresce un sottile turbamento in Tullio e un sospetto che non osa domandare a Giuliana, che vede improvvisamente felice dopo essere stato a Firenze. Un istante, in particolare, insinua il dubbio nel suo animo, sentendo la donna cantare nella sua camera l'aria amorosa di Orfeo: "Che farò senza Euridice?"...

Era la prima volta, dopo lungo tempo, che ella cantava così, movendosi per la casa; era la prima volta che io la riudiva, dopo lunghissimo tempo. - Perché cantava? Era dunque lieta? A quale affetto del suo animo rispondeva quell'effusione insolita? - Un turbamento inesplicabile mi vinse. [...]
Nello specchio di contro io scorsi la mia imagine; rividi il mio volto scarno, le mie occhiaie profonde, la mia bocca tumida, quell'aspetto di febricitante che avevo già da qualche mese. [...]
Non riuscivo a dissipare la mia confusione, a riconquistare la mia franchezza. Sentivo che ogni intimità fra noi due era caduta. Ella mi pareva un'altra donna. E intanto l'aria di Orfeo mi ondeggiava ancora su l'anima, m'inquietava ancora. [...]
Il fantasma della melodia antica pareva svegliare il palpito d'una vita segreta, spandere l'ombra d'un non so che mistero. [...]
Ella mi riapparve quale era in realtà: una giovine signora elegantissima, una dolce e nobile figura, piena di finezze fisiche, e illuminata da intense espressioni spirituali; una signora adorabile, insomma, che avrebbe potuto essere un'amante deliziosa per la carne e per lo spirito.

L'insanabile dubbio del tradimento accresce in Tullio il malessere e le preoccupazioni, quasi irritato dalla felicità dell'amata, ma allo stesso tempo gli permette di riscoprire la vera identità della donna, la sua nobiltà fisica e spirituale, come se ella fosse veramente "un'altra donna". Un libro con una dedica da parte del noto romanziere Filippo Arborio accentua ancor di più i sospetti di Tullio, che nel frattempo lascia definitivamente Teresa dopo che la loro ormai triste passione era crollata, sicuramente anche per il manifestarsi di quell'insicurezza nel protagonista proprio a seguito dell'idea - non ancora accertata chiaramente - di aver perso la moglie.
A causa della cagionevole salute, Giuliana si ammala nuovamente e di giorno in giorno sembra essere più stanca e pallida, emaciata, trovando conforto nelle cure della madre di Tullio una volta deciso di trasferirsi presso La Badiola, una villa di campagna dove vive la suocera ed il fratello di Tullio, Federico. Tullio si rivela premuroso e sinceramente innamorato, circondando di tenerezze e attenzioni la donna, ancor di più quando ella gli appare fuggevole, come se cercasse di evitarlo. L'amore sembra tuttavia riaccendersi quando i due coniugi decidono di trascorrere una giornata a Villalilla, dove erano soliti recarsi durante i loro primi anni di nozze.

Non avremmo mai dovuto partire di qui, tu dicevi, dianzi. E forse saremmo stati felici. Tu non avresti sofferto il martirio, non avresti versato tante lacrime, non avresti perduto tanta vita; ma non avresti conosciuto il mio amore, tutto il mio amore...
Ella teneva il capo reclinato sul petto e le palpebre socchiuse; e ascoltava, immobile. I cigli le spandevano a sommo delle gote un'ombra che mi turbava più d'uno sguardo.
- Io, io stesso non avrei conosciuto il mio amore. [...] Cercavo un'altra passione, un'altra febbre, un'altra ebrezza. Volevo abbracciare la vita con una sola stretta. [...] E ho dovuto passare d'oscurità in oscurità, per anni, prima che si facesse questa luce nella mia nima, prima che questa grande verità m'apparisse. Non ho amato che una donna: te sola. [...] E tu eri nella mia casa mentre io ti cercavo lontano... Intendi ora? Intendi? Tu eri nella mia casa mentre io ti cercavo lontano.

L'autentico affetto ritrovato durerà il tempo di una bella giornata di primavera trascorsa nel loro giovanile nido d'amore a causa dell'aggravarsi delle condizioni di salute di Giuliana, colpita da un malore. La madre di Tullio confessa con entusiasmo al figlio che quella debolezza della moglie potrebbe essere dovuta ad una gravidanza, così Tullio comincia ad essere perseguitato da un tormento che sfocerà nell'odio verso il nascituro quando saprà dal medico che Giuliana è incinta.
Date le complicazioni di una gravidanza che era stata sconsigliata alla donna, così debole, Tullio, perseguitato da continui incubi, comincia a coltivare il desiderio - manifestato anche dalla moglie - che il bambino muoia prima di venire al mondo, ma insieme emerge anche la volontà di Tullio a rimanere vicino all'amata, apparendo quasi disposto a crescere il nascituro sopportando quell'immaginabile dolore per chi, da traditore pentito e redento, ha scoperto da poco di essere stato tradito.

Da completare