Idillio maremmano

Componimento che ha una lunga fase elaborativa - tra il 1867 e il 1872 - in cui Giosuè Carducci rievoca l'adolescenza trascorsa nel paesaggio maremmano, protagonista nella descrizione di un ricordo nostalgico che ha il volto di una giovane ragazza di nome Maria, "amor mio primo". Queste tematiche, cui si lega lo scorrere inesorabile del tempo, evocano suggestioni simili a poesie come A Silvia o Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi, autore cui Carducci è vicino anche per scelta metrica, con terzine incatenate che il recanatese scelse proprio per la poesia Il primo amore.
Se nella prima parte l'elemento autobiografico e del ricordo si fondono con quello paesaggistico - dove la natura è intesa come regno di un'armonia incontaminata - nella seconda è introdotta un'altra tematica tipica di Carducci, vale a dire quello di una modernità sofferta in cui l'io poetico non si ritrova - come accadrà in Alla stazione in una mattina d'autunno - rimpiangendo l'aver abbandonato una vita rurale e semplice, manifestando la scontentezza per il presente, ma soprattutto quella ragazza che ora ritorna "improvvisa al mio cuore" velando l'anima di amarezza in quanto "meglio era sposar te, bionda Maria!"...

Co ’l raggio de l’april nuovo che inonda
Roseo la stanza tu sorridi ancora
Improvvisa al mio cuore, o Maria bionda;

E il cuor che t’obliò, dopo tant’ora
Di tumulti ozïosi in te riposa,
amor mio primo, o d’amor dolce aurora.

Ove sei? senza nozze e sospirosa,
Non passasti già tu; certo il natio
Borgo ti accoglie lieta madre e sposa;

Ché il fianco baldanzoso ed il restio
Seno a i freni del vel promettean troppa
Gioia d’amplessi al marital desio.


Forti figli pendean da la tua poppa
Certo, ed or baldi un tuo sguardo cercando
Al mal domo caval saltano in groppa.

Com’eri bella, o giovinetta, quando
Tra l’ondeggiar de’ lunghi solchi uscivi
Un tuo serto di fiori in man recando,

Alta e ridente, e sotto i cigli vivi
Di selvatico fuoco lampeggiante
Grande e profondo l’occhio azzurro aprivi!

Come ’l ciano seren tra ’l biondeggiante
Òr de le spiche, tra la chioma flava
Fioria quell’occhio azzurro; e a te d’avante

La grande estate, e intorno, fiammeggiava;
Sparso tra’ verdi rami il sol ridea
Del melogran, che rosso scintillava.

Al tuo passar, siccome a la sua dea,
Il bel pavon l’occhiuta coda apria
Guardando, e un rauco grido a te mettea.

Oh come fredda indi la vita mia,
Come oscura e incresciosa è trapassata!
Meglio era sposar te, bionda Maria!


Meglio ir tracciando per la sconsolata
Boscaglia al piano il bufolo disperso,
Che salta fra la macchia e sosta e guata,

Che sudar dietro al piccioletto verso!
Meglio operando oblïar, senza indagarlo,
Questo enorme mister de l’universo!

Or freddo, assiduo, del pensiero il tarlo
Mi trafora il cervello, ond’io dolente
Misere cose scrivo e tristi parlo.

Guasti i muscoli e il cuor da la rea mente,
Corrose l’ossa dal malor civile,
Mi divincolo in van rabbiosamente.

Oh lunghe al vento sussurranti file
De’ pioppi! oh a le bell’ombre in su ’l sacrato
Ne i dí solenni rustico sedile,

Onde bruno si mira il piano arato
E verdi quindi i colli e quindi il mare
Sparso di vele, e il campo santo è a lato!

Oh dolce tra gli eguali il novellare
Su ’l quïeto meriggio, e a le rigenti
Sere accogliersi intorno al focolare!


Oh miglior gloria, a i figliuoletti intenti
Narrar le forti prove e le sudate
Cacce ed i perigliosi avvolgimenti

Ed a dito segnar le profondate
Oblique piaghe nel cignal supino,
Che perseguir con frottole rimate

I vigliacchi d’Italia e Trissottino.