A Silvia

Silvia è l'amore di Leopardi, come Beatrice per Dante e Laura per Petrarca; A Silvia uno dei capolavori più noti del poeta di Recanati.

La lirica fu composta tra il 19 e il 20 aprile 1828 e redatta in forma definitiva il 29 settembre dello stesso anno. Leopardi aveva trent'anni e si trovava a Pisa, un breve soggiorno felice per l'autore grazie all'accoglienza generosa degli abitanti.

L'ambientazione del componimento è però chiaramente riconducibile a Recanati e all'età della giovinezza, del periodo di "studio matto e disperatissimo", quando Giacomo osservava dalla finestra Silvia, una sua coetanea il cui nome reale era Teresa Fattorini, la figlia del cocchiere di casa Leopardi. 

La donna della finestra - Dante Gabriel Rossetti - 1879

Il nome Silvia è ripreso dalla protagonista dell'Aminta di Torquato Tasso, favola pastorale molto amata dal Leopardi.

Il giovane poeta era colpito dalla bellezza della ragazza; mentre la ascoltava cantare felice sognava un giorno di poterla incontrare e parlarle. Avrebbe dato chissà cosa per uscire di casa, dove il padre lo costringeva a restare, e magari seguirla da lontano per vedere cosa faceva quando non era dietro alla finestra a tessere la tela. Quando però un giorno festivo se la trovò di fronte per caso non riuscì a dirle una sola parola, come un vero innamorato. Tornando a casa ancora più triste e privo di ogni speranza di essere corrisposto, si mise ad esprimere il sentimento che provava nella poesia La sera del dì di festa

Il tema della lirica è l'infelicità dell'umano; il pessimismo presente nel testo è dovuto alla morte precoce di Silvia, colpita dalla tubercolosi, con cui svaniscono tutte le speranze del poeta di amarla e desiderarla. Il destino dell'autore e quello dell'amata sono diversi e simili allo stesso tempo: Silvia è stroncata nel pieno della giovinezza dalla malattia e Giacomo, divenuto adulto, vede invece morire le illusioni giovanili.

Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.