Guido Cavalcanti

Guido Cavalcanti dice con un motto onestamente villania a certi cavalier fiorentini li quali soprapreso l'aveano.

La sesta giornata è incentrata sull'uso abile della parola. Se però nei precedenti racconti di Cisti fornaio e Chichibio cuoco i personaggi erano semplici lavoratori che riuscivano per mezzo dell'ingegno a porsi sullo stesso piano dei nobili, qui invece il protagonista è l'eroe per antonomasia del poema, il poeta che per il Boccaccio incarna l'ideale di uomo perfetto, vale a dire lo stilnovista Guido Cavalcanti, grande amico di Dante. L'ambientazione è la Firenze aristocratica duecentesca e la narratrice Elissa.
Al tempo in città vi erano diverse buone usanze, che al tempo di Boccaccio furono andate perdute, come quella di riunirsi tra i vari nobili organizzando dei ricchi banchetti. Tra le brigate organizzatrici di queste feste, che spesso prevedevano anche giochi e tornei, vi era quella di Betto Brunelleschi, benestante appartenente alla fazione dei Guelfi neri. La compagnia cercava in ogni modo di attirare l'attenzione di Guido, figlio di Cavalcante de' Cavalcanti, così che la sua elegante e colta presenza impreziosisse il nome della brigata.
Il nobile poeta era anche uno dei migliori filosofi del tempo ed un profondo conoscitore delle scienze, dotato dalla natura di un'intelligenza al di sopra della media ed eloquenza nel parlare.
Betto si crucciava da tempo per il fatto di non essere mai riuscito ad averlo nei suoi banchetti e pensava che ciò fosse dovuto alla superbia di Guido e al fatto che il suo occuparsi costantemente di importanti questioni filosofiche lo avesse allontanato dagli interessi della società.
Si iniziò così a dire che egli, essendo un Epicureo, ossia un laico che non credeva nell'immortalità dell'anima, stesse tutto il giorno a cercare di dimostrare che Dio non esisteva.
Un giorno Guido, uscito di casa e recatosi nei pressi di San Giovanni, il battistero antistante il Duomo, cammino che era solito percorrere, si imbatté in Betto e nella sua brigata che con i loro cavalli lo accerchiarono in prossimità di alcune grandi tombe di marmo con l'intento di importunarlo.
Cominciarono allora a discutere del suo ateismo e chiedergli con tono scherzoso cosa avrebbe fatto una volta dimostrato che Dio non esiste.
Guido, con elegante indifferenza, rispose che avevano tutto il diritto, in casa loro, di dirgli qualsiasi cosa, e posta la mano sopra uno dei sarcofaghi saltò via allontanandosi dal gruppo.
Inizialmente tutti rimasero perplessi non avendo compreso le parole del poeta, ma Betto, che aveva intuito, spiegò loro che Guido li aveva con belle maniere paragonati a dei cadaveri per la loro ignoranza e perciò quella era la loro casa.
Da allora nessuno importunò più Guido, mentre Betto fu considerato il più saggio cavaliere della compagnia per aver decifrato e compreso la frase del poeta.

Al centro della novella vi è dunque l'arte oratoria e il motto che libera da situazioni difficili. Ancor di più, però, il significato profondo del racconto risiede in una virtù che innalza il protagonista a migliore eroe dell'opera, rendendolo immensamente superiore ad ogni altro: la cultura. Senza di essa l'uomo è come morto in quanto privo della sua essenza che lo distingue da ogni altro essere vivente.