Ghino di Tacco

Ghino di Tacco piglia l'abate di Cligni e medicalo del male dello stomaco e poi il lascia; il quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa, e fallo friere dello Spedale.

La seconda novella della decima e ultima giornata dell'opera narra di un personaggio realmente esistito, il celebre brigante Ghino di Tacco, citato anche da Dante nel Canto VI del Purgatorio. Nonostante la fama di bandito, il protagonista è uno degli eroi positivi del Decameron, portatore di valori quali la cortesia e la nobiltà d'animo. La narratrice è Elissa.
Nato intorno alla metà del Duecento in provincia di Siena, Ghino di Tacco è ricordato come un brigante gentiluomo, ladro per necessità che ha affascinato nel tempo generazioni di poeti. Cacciato da Siena per colpe legate alle ruberie della sua nobile famiglia, Ghino si trasferisce nel castello di Radicofani, in val d'Orcia, situato allora fra la Repubblica di Siena e lo Stato pontificio. Qui si dedica ad assalire i viandanti che si avvicinatesi alla sua dimora, rubando ai ricchi a seguito di un periodo di reclusione nel castello, dove i malcapitati trovavano, paradossalmente, un'ottima ospitalità.
Un giorno l'abate di Cluny, descritto come uno dei religiosi più ricchi del tempo, passò dalle parti di Radicofani dovendo recarsi in visita da papa Bonifacio VIII. A causa dei problemi di stomaco che lo affliggevano, i medici gli avevano consigliato di approfittare del viaggio per andare ai bagni di Siena, alle terme di San Casciano.
Non appena Ghino vede sopraggiungere l'abate con il suo seguito, decide di tendergli un'imboscata. Sistemato in una stanzetta, l'abate riceve le visite di Ghino sotto mentite spoglie, intenzionato a guarirlo dal suo male grazie alle proprie conoscenze mediche. Durante la reclusione il religioso, mangiando principalmente pane arrostito, un buon bicchiere di vino e delle fave secche, comincia a sentirsi meglio e finalmente Ghino decide di farsi riconoscere offrendo un banchetto per lui e il proprio seguito. Gli ospiti, sorpresi dell'aver trascorso un ottimo soggiorno, ringraziano il brigante galantuomo, il quale racconta la propria vicenda, spiegando di essere costretto ad una cattiva condotta per cause esterne al proprio volere. Riconoscendo le ottime virtù di Ghino, che lo aveva guarito come nessun altro medico era stato capace, l'abate gli offre in dono alcuni suoi averi e riprende la strada per Roma.
Giunto al cospetto del pontefice, l'abate spiega di aver trovato in Ghino, uomo virtuoso, un ottimo medico e chiede che Bonifacio gli conceda la grazia. Sorpreso, il pontefice acconsente e nomina Ghino di Tacco cavaliere, ottenendo inoltre il permesso di esercitare la professione di medico. La vicenda si conclude così positivamente, rispettando i valori boccacceschi di fortuna e di ingegno.