Presso una Certosa
Composto nel 1895, questo breve testo di quattro quartine consente a Giosuè Carducci di unire alcune tra le tematiche fondamentali della sua poesia, ovvero il ricordo nostalgico di una persona cara ormai defunta - che avviene nel contesto cimiteriale in cui è ambientata la poesia - e il valore degli studi umanistici come consolazione e strumento per la salvezza eterna. In una fredda mattina presso una Certosa, che allude al cimitero di Bologna, così chiamato, l'io lirico si sofferma nella descrizione di una natura che non sembra poter sottrarsi all'inevitabile scorrere del tempo, con il verde della vegetazione che è destinato ad ingiallire al pari del corso dell'esistenza umana. Una foglia si stacca leggera da un ramo, come fosse un'anima che si spegne all'improvviso. Un raggio di sole trafigge poi l'umido paesaggio autunnale, in un'allusione di felicità che evoca una suggestione ripresa più avanti da Giovanni Pascoli in Novembre e da Salvatore Quasimodo in Ed è subito sera. L'unica vera speranza di immortalità, nella quartina conclusiva, è allora affidata alla poesia, rappresentata dal canto di Omero.
Da quel verde, mestamente pertinace tra le foglie
Gialle e rosse de l’acacia, senza vento una si toglie:
E con fremito leggero
Par che passi un’anima.
Velo argenteo par la nebbia su ’l ruscello che gorgoglia,
Tra la nebbia ne ’l ruscello cade a perdersi la foglia.
Che sospira il cimitero,
Da’ cipressi, fievole?
Improvviso rompe il sole sopra l’umido mattino,
Navigando tra le bianche nubi l’aere azzurrino:
Si rallegra il bosco austero
Già de ’l verno prèsago.
A me, prima che l’inverno stringa pur l’anima mia
Il tuo riso, o sacra luce, o divina poesia!
Il tuo canto, o padre Omero,
Pria che l’ombra avvolgami!
Ingresso del cimitero - Caspar David Friedrich - 1825