La quiete dopo la tempesta

Composta a Recanati nel settembre del 1829, la lirica si presenta divisa in due parti distinte: la prima descrive il riprendere dell'esistenza dopo un violento temporale, con gli uccelli che ricominciano a cantare mentre ogni animo si rallegra e torna sereno. La seconda si concentra invece sul tema filosofico dell'illusione della felicità, la quale è figlia del dolore in quanto si prova solo in concomitanza dello scampato pericolo. Solamente in questo caso si può allora apprezzare veramente la quotidianità, che a seguito del dolore si vede sotto una nuova luce. Vi è poi l'accusa alla natura, ricorrente nella poetica leopardiana, come portatrice di dolore per l'uomo e una conclusione amara in cui la morte è vista come l'unica soluzione alla cessazione di ogni dolore.

Passata è la tempesta:
odo augelli far festa, e la gallina,
tornata in su la via,
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
rompe lá da ponente, alla montagna:
sgombrasi la campagna,
e chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
risorge il romorio,
torna il lavoro usato.
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
con l’opra in man, cantando,
fassi in su l’uscio; a prova
vien fuor la femminetta a côr dell’acqua
della novella piova;
e l’erbaiuol rinnova
di sentiero in sentiero
il grido giornaliero.
Ecco il sol che ritorna, ecco sorride
per li poggi e le ville. Apre i balconi,
apre terrazzi e logge la famiglia:

e, dalla via corrente, odi lontano
tintinnio di sonagli; il carro stride
del passeggier che il suo cammin ripiglia.

     Si rallegra ogni core.
Sí dolce, sí gradita
quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
l’uomo a’ suoi studi intende?
o torna all’opre? o cosa nova imprende?
quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
gioia vana, ch’è frutto
del passato timore, onde si scosse
e paventò la morte
chi la vita abborria;
onde in lungo tormento,
fredde, tacite, smorte,
sudâr le genti e palpitâr, vedendo
mossi alle nostre offese
folgori, nembi e vento.

     O natura cortese,
son questi i doni tuoi,
questi i diletti sono
che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
è diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
che per mostro e miracolo talvolta
nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
prole cara agli eterni! assai felice
se respirar ti lice
d’alcun dolor; beata
se te d’ogni dolor morte risana.