Ser Ciappelletto

Ser Cepparello con una falsa confessione inganna un santo frate e muorsi; e, essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto.

È la prima novella della prima giornata, nella quale ciascun giovane è libero di trattare l'argomento che preferisce. Il narratore è Panfilo. Protagonista del racconto è Ser Ciappelletto che l'autore introduce con una descrizione dettagliata.
Il suo vero nome era Cepparello, ma tutti lo chiamavano Ciappelletto. Proveniente da Prato, di professione era notaio. I suoi atti notarili erano però tutti falsi ed egli, di carattere malvagio, provava soddisfazione nell'ingannare gli altri. Bestemmiatore di Dio e di tutti i santi per ogni piccola cosa, non frequentava la chiesa ed anzi la scherniva con orrende parole, preferendo recarsi nelle taverne e in altri luoghi disonesti dove bere e giocare d'azzardo. Infine odiava le donne ed era omosessuale.
A seguito della lunga descrizione il poeta lo apostrofa definitivamente come l'uomo peggiore che sia mai esistito.
Probabilmente il protagonista è un personaggio realmente esistito all'epoca di Boccaccio, il quale sposta ora l'attenzione al momento della morte di Ciappelletto. Quando si ammalò si trovava ospite di due usurai fiorentini che, consci della pessima condotta morale del loro ospite, cominciano a chiedersi come comportarsi. Non potranno infatti seppellire il moribondo in terreno consacrato senza prima farlo confessare e avergli dato l'estrema unzione, ma non possono nemmeno sperare che un prete, venuto a conoscenza della vita di Ciappelletto, gli accordi il perdono. Finirà allora in una fossa comune fuori dalle mura cittadine come gli eretici, i suicidi e gli usurai.
Il protagonista, che ha ascoltato il dialogo preoccupato tra i padroni di casa, decide di toglierli dall'imbarazzo chiedendo egli stesso un confessore.
Inizia a delinearsi pian piano un tratto tipico dei personaggi boccacciani, vale a dire la virtù, ambigua e paradossale, della beffa, dell'ingannare gli altri con astuzia e del compiacimento nel farlo.
Durante la confessione con un venerabile frate, asceta dedito al digiuno e alla preghiera, Ciappelletto non dichiara infatti i suoi veri peccati, anzi dice l'esatto opposto descrivendosi come un sant'uomo al punto di mettere in imbarazzo il religioso. Afferma di essere solito confessarsi almeno una volta a settimana, di essere ancora vergine, di fare beneficenza ed arrabbiarsi nel vedere molti uomini non osservare i comandamenti di Dio senza temerne il giudizio. Inoltre dice di essersi recato a casa dei due usurai per cercare di redimerli e allontanarli da quell'ingiusto guadagno.
Alla fine il frate, quasi in lacrime nell'udire la santità dell'uomo, lo assolve e decide di seppellirlo nel suo convento. Quando morì fece allora una grande cerimonia funebre in suo onore raccontando dal pulpito di quella confessione e della vita di Ciappelletto, uomo umile ed incline al bene, sempre disponibile ad aiutare il prossimo.
Con il passare del tempo la figura di Ciappelletto divenne nota e in molti iniziarono a recarsi nella cappella dove, in un sepolcro marmoreo, riposava il suo corpo, accendendo lumini e pregando il suo nome. Ser Ciappelletto finì addirittura per essere chiamato santo.

La novella ha sollevato diverse interpretazioni, soprattutto sulle motivazioni che spingono il protagonista alla falsa confessione dinanzi al frate. La sua azione viene vista dai più come una beffa mossa solo dal compiacimento e Ciappelletto come un vero e proprio artista che con la sua notevole capacità oratoria si impone come uno dei grandi campioni del Decameron.