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Il mostro di Düsseldorf

Pellicola tedesca del 1931, M - Il mostro di Düsseldorf è il primo capolavoro sonoro del regista Fritz Lang, il quale sarà costretto poco dopo l'uscita del film a lasciare Berlino a causa della dittatura nazista. Caratterizzata dall'angoscia e dal terrore ed incentrata su eventi di cronaca realmente nella Germania degli anni Venti, l'opera si impose come una condanna alla violenza e al crimine, divenendo diretta testimonianza del contesto politico del tempo. La trama investigativa, il senso di mistero e l'attento utilizzo delle ombre, nel bianco e nero, ripreso dal film espressionista e volto ad esprimere il presagio del male, che però non vediamo mai direttamente, sono elementi che anticipano il genere del noir che si diffonderà negli Stati Uniti nel corso degli anni Quaranta.
La vicenda è incentrata sui crimini compiuti con freddezza e quasi in automatico da un folle di nome Hans Beckert, che terrorizzava la piccola cittadina tedesca vicina al confine con Belgio e Paesi Bassi. Il regista scelse di non mostrare inizialmente il volto dell'assassino, di cui vediamo solamente l'ombra e non conosciamo l'identità, come a voler rendere universale l'orrore che contraddistingue questa enigmatica figura segnata nel profondo della psiche.
In apertura l'inquadratura si sofferma, conferendo alla scena un senso di inquietudine, su un gruppi di bambini intenti a giocare in cortile, mostrandoli attraverso una ripresa dall'alto che appare come lo sguardo minaccioso di una presenza adulta che incombe su di loro, in particolare su una bambina, di cui successivamente la mamma attende, preoccupata, il ritorno a casa da scuola.
I poliziotti, ma anche gli stessi criminali della città, sono impegnati nel trovare il maniaco che semina il panico per le strade della città; la giustizia per evitare che il terrore generi ulteriore disordine in città e altri innocenti finiscano vittime del mostro, mentre i malviventi perché stanchi dei continui controlli da parte delle forze dell'ordine. Saranno proprio i criminali a scoprire per primi l'assassino grazie all'aiuto di un mendicante cieco, venditore di palloncini per bambini, il quale riconosce il mostro dal motivetto che è solito fischiettare, una sorta di leitmotiv che accompagna la sua oscura presenza.
Catturato, il malfattore viene processato davanti ad un curioso tribunale costituito da ladri, criminali e prostitute, davanti ai quali rivela la sua malattia mentale che lo spinge a commettere violenza così efferate. Interrotto dal sopraggiungere della polizia, il processo al delinquente si conclude con il suo arresto insieme a quello degli altri capi delle organizzazioni criminali cittadine. Il mostro è così finalmente nelle mani della giustizia e la serenità, scossa dall'orrore, sembra poter finalmente tornare nel vivere quotidiano.

Più che la trama, sono di estremo interesse alcuni espedienti cinematografici utilizzati dal regista per raccontare questi fatti di cronaca contemporanea di cui il titolo della versione italiana richiama direttamente il riferimento, mentre nell'originale la sola lettera M lascia aperte le ipotesi di narrazione, alludendo forse alla parola "murder", vale a dire "omicidio", oppure al tedesco "mörder", in italiano "assassino".
Per non urtare la sensibilità degli spettatori, Lang non mostra mai scene cruente di omicidi, lasciando solamente ipotizzare gli accaduti a chi osserva la pellicola, non senza tuttavia conferire un senso di profonda angoscia, forse anche maggiore rispetto alla visione cruenta dei fatti. Quando la ripresa si sofferma infatti sulle scale vuote dell'abitazione mentre la mamma attende trepidante la figlia che non torna, chiamandola disperatamente per nome, si prova uno sgomento la cui potenza espressiva dell'immagine diviene evocativa più di mille parole, così come quando, subito dopo, vediamo una soffitta con dei panni bianchi stesi, allusione ad un senso di candore e purezza che sarà contaminata dal male, oppure quando la palla sfugge dalle mani della bimba, rapita dal suo aggressore, riferimento all'omicidio appena compiuto.
Nell'immagine dell'orologio a cucù, che si ripete durante l'attesa della madre, è racchiuso tutto lo stato d'animo inquieto della donna, presagio del rapimento e di qualcosa di violento, perfetto esempio di quello che si chiama "Effetto Kulešov", vale a dire quella tecnica che studia come un'inquadratura trasmetta allo spettatore una determinata sensazione a seconda delle inquadrature appena precedenti o successive. Se inizialmente la madre guarda con il viso sereno l'orologio che segna l'ora dell'uscita da scuola della figlia, denotando anche un valore affettivo dell'oggetto, probabilmente caro alla figlia, con lo scorrere del tempo nell'oggetto vengono proiettati tutti i turbamenti e le preoccupazioni della donna, il cui sguardo diviene angosciato. Lang, attraverso questa capacità espressiva, riesce a farsi portatore, solamente attraverso un'immagine, di molteplici significati che sostituiscono mille parole, capacità unica e punto di forza delle immagini nonché della magia del cinema.

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