Dante e Beatrice

La Terra girò per renderci più vicini, girò sul suo asse e su di noi, finché, finalmente, ci ricongiunse in questo sogno...

In un giorno di maggio dell’anno 1283, verso le tre di pomeriggio, in una via di Firenze accadde un incontro che cambiò per sempre la vita di un giovane poeta e l’intera storia della nostra letteratura. Dante era un ragazzo come tanti con molti sogni a cui non voleva rinunciare e l’idea di essere predestinato, scelto dal destino o da una volontà superiore per compiere qualcosa di grandioso.

Sin da piccolo aveva deciso che avrebbe fatto il poeta, cioè trovare le parole adatte in ogni occasione, riuscire a descrivere un moto dell’anima, risvegliare sentimenti e nostalgie nascosti nel cuore. Quel giorno quella sensazione che lo aveva accompagnato e fatto sognare per tutta l’adolescenza, fino ai diciotto anni, si fece concreta, aveva un volto e un nome, Bice Portinari.

All’età di nove anni aveva già incontrato gli occhi della ragazza, ma ora essi si fermarono, fulminanti, a guardarlo intensamente: Dante se ne innamorò subito e capì che quelli erano gli occhi che lo avrebbero guidato nel suo cammino, nell’impresa di scrivere di una donna come nessuno aveva fatto e di portare l’umanità intera, per un istante eterno, alla visione di Dio.

Questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo, in mezzo di due gentili donne, le quali erano di più lunga etade; e passando per una via, volse li occhi verso quella parte ov’io era molto pauroso, e per la sua ineffabile cortesia, la quale è oggi meritata nel grande secolo, mi salutò e molto virtuosamente, tanto che me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine.

Beatrice era vestita di bianco e passeggiava insieme ad altre due nobildonne; i suoi occhi verdi smeraldo conferivano alla chiara carnagione una straordinaria luminosità e il suo sorriso, fresco, spontaneo, era appena velato di tristezza. Sembrava che la donna fosse a conoscenza dell’importanza di quell'incontro, guardò il poeta come per trasmettergli un messaggio che mille parole non avrebbero potuto esprimere meglio. Sussurrò solo una parola, “salute”.

Uno sguardo, due occhi scintillanti e una parola, è in modo così semplice che Dante descrive nella Vita Nova l’incontro con il suo Amore; l’immensità sta nell'attimo, la felicità nelle piccole cose. Il resto di ciò che prova nel cuore lo tiene per sé mentre torna di corsa a casa per comporre il primo sonetto della sua intera poetica; sentiva il bisogno di lasciare scritto quello che aveva vissuto e grazie a Beatrice trovò l’ispirazione, le parole giuste, per cominciare la strada per diventare il Sommo poeta.

Beatrice fu molto coraggiosa, per il periodo storico in cui viveva, a guardarlo e salutarlo per prima: era una donna già promessa sposa, ma voleva cambiare la sua esistenza, sembrava consapevole che solo lui avrebbe potuto renderla immortale, i suoi occhi tristi sembravano dirgli: “ti prego innamorati di me. Ti scongiuro, fai in modo che questa mia vita sia ricordata, con tutte le sofferenze che porterà, ma non vorrei mai essere dimenticata. Vorrei che fra tanti anni le persone leggessero che sono esistita e che ero bella. Parla di me, usando le parole come tu sai fare e fa che questo attimo viva eternamente, che i miei occhi siano la guida di ogni tuo capolavoro”. Dante si innamorò e non ebbe paura, non si tirò indietro, nonostante non avrebbe mai potuto averla vicino. Studiò moltissimo per trovare le parole giuste; il loro amore, diviso dalla vita, si sarebbe ricongiunto nei sogni e in un luogo eterno che Dante descrive nella Commedia in cui vivono tutte le storie d’amore più belle, nel persempre. Arrivò alla gloria, diventò il poeta più celebre e il modello di riferimento di tutta la letteratura, coronò così il sogno che portava dentro sin da piccolo. E forse, se si potesse chiedere a Dante perché fece tutto ciò, lui semplicemente risponderebbe perché un giorno di maggio incontrò Beatrice che lo guardò dicendogli con gli occhi: “Innamorati di me”.

Come ogni storia d’amore, quella tra Dante e Beatrice passò dei momenti difficili; il poeta per non essere preso di mira dai pettegolezzi iniziò a porre l’attenzione verso un’altra donna, chiamata donna dello schermo, in quanto nasconde il reale oggetto del desiderio che doveva rimanere segreto per preservarne tutta la magia e la bellezza. La finzione va oltre però, nei commenti della gente, sì che Beatrice arriva a negargli il saluto.

E quando mi domandavano: “Per cui t’à così distrutto questo Amore?”, e io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro.

Profondamente segnato, Dante si chiuse in sé stesso e non uscì più di casa. Era affranto e privo di ogni motivazione. Non riusciva sopportare che Beatrice non lo guardasse più, gli mancava il suo sorriso, era la sua vita. Tutto ciò che aveva fatto era per lei, per proteggere quel legame che li univa anche nella tristezza della distanza; doveva preservare il loro amore dal vuoto incolmabile di non poter stare l’uno accanto all’altra.

La tristezza che provava in quei momenti non gli permetteva di accorgersi che Bice gli voleva davvero bene; era semplicemente gelosa che il suo innamorato guardasse altre donne, lo voleva tutto per sé, in fondo lei lo amava silenziosamente, da lontano, perché nessuno la faceva sentire come solo uno sguardo di quel poeta impacciato sapeva fare.

Gli amici di Dante cercarono di farglielo capire e per distrarlo, una sera, lo convinsero ad andare a una festa di matrimonio. Si sposava un’amica di Lapo Gianni, poeta molto legato a Dante. La serata fu piacevole, fino a quando il Poeta, che si trovava al centro della sala, sentì mancarsi le forze improvvisamente e cominciò a tremare. Stava pensando a Beatrice; era come se fosse lì, provava la stessa sensazione di quando l’aveva incontrata a nove e diciotto anni. Si appoggiò ad un arazzo appeso alla parete per evitare di svenire e alzò gli occhi per cercare aiuto: davanti a lui vide Beatrice, bellissima e nobile come sempre. Si sentì morire, la vista gli si offuscò e cadde a terra in preda alle emozioni.

Mi parve sentire uno mirabile tremore incominciare nel mio petto da la sinistra parte e distendersi di subito per tutte le parti del mio corpo. Allora dico che io poggiai la mia persona simulatamente ad una pintura, e temendo non altri si fosse accorto del mio tremare, levai li occhi, e mirando le donne, vidi tra loro la gentilissima Beatrice…

Questo episodio ne comporta un altro, noto come “episodio del gabbo”, in cui il Poeta è oggetto delle risa di due donne, probabilmente presenti alla festa, che lo incrociano per strada. Seguirà la canzone “Donne ch’avete intelletto d’amore” in cui Dante si rivolge alle ragazze che conoscono davvero il sentimento dell’amore, a coloro che hanno il cuore gentile, motivando il perché continui ad amare la sua donna nonostante ciò gli provochi sofferenza.

Dante sentì parlare per l’ultima volta di Beatrice nel 1289, quando morì suo padre, Folco Portinari. Si diceva che Bice fosse distrutta, aveva amato moltissimo il padre e che ora era affranta, infelice e sconvolta dal dolore. Dante avrebbe voluto vederla, non riusciva a darsi pace, voleva consolarla, abbracciarla come non aveva mai potuto fare. Era disposto a soffrire al suo posto. L’amore che provava andava oltre le sensazioni umane, tanto che si sentiva comunque vicino a lei in quei giorni, come se l’amata fosse dentro di lui, parte della sua vita. Il poeta sentiva che Beatrice soffriva e capì che presto se ne sarebbe andata anche lei. Intanto nasceva l’idea di lodarla anche dopo la morte.

I numerosi parti e la solitudine avevano reso Beatrice debole e priva di ogni speranza: si spense l’8 giugno dell’anno 1290. Fu un giorno triste per Dante, non era mai stato così male, la morte gli aveva sottratto la sua musa, colei che lo aveva fatto innamorare e dato un senso a tutta la sua esistenza. Non poteva vivere senza di lei, ma doveva trovare la forza per completare quel sogno che lei stessa gli aveva posto nel cuore quando si incontrarono all’età di diciott’anni. I suoi occhi sarebbero stati la guida in un viaggio straordinario e lei un angelo custode da celebrare in versi, tramite per giungere sino a Dio nella cantica del Paradiso. Ecco allora l’invenzione del viaggio della Commedia, ecco la letteratura, la poesia, quel sogno e quella passione che nutriva sin da bambino, che gli viene in soccorso, ed ecco un’opera incredibile, che rese eterno il suo sentimento, l’amata e l’amore tra i due. Così vinse l’amore: il dolore, la fine e la paura della morte furono sconfitti.

Dio aveva eletto Beatrice come compagna di viaggio di Dante per salire di cielo in cielo ed arrivare sino a Lui, per elevarsi a parlare dell’esistenza di un qualcosa di più grande, un progetto divino che l’uomo non può comprendere, ma che grazie alle parole del poeta risulta più comprensibile e vicino a noi. Come per Dante il punto d’inizio della sua opera straordinaria stava nel semplice sguardo di una ragazza incontrata da giovane a Firenze, anche il motivo finale dell’intera Commedia si trova in un’unica parola: Amore. Dante nell’attimo eterno in cui gli è concesso di mettere lo sguardo nella luce di Dio vede l’unione perfetta di tutte le realtà, ogni cosa che esiste nell’universo e ogni grande amore vissuto al mondo. Si ritrova in ciò che dà senso alla vita e vede ognuno di noi, parte di un Amore capace di muovere il Sole, le stelle e l’universo intero. La bellezza dell’esistenza sta nel poter donare nel nostro piccolo una parte di questo stesso sentimento che ci è stato posto dentro il cuore. L’Amore è il senso ultimo del viaggio della Commedia, della vita di Dante e della nostra. Non esiste bene più grande del donare tutto ciò alla persona della nostra vita, come Dante ha fatto con Beatrice, trasformando così un semplice incontro nel più straordinario viaggio che sia stato compiuto.

…Lascia che ti ami fino a quando girerà la terra
e gli astri inchinino i loro crani azzurri
sulla rosa dei venti.

Galleggiando, a bordo di questo giorno
nel quale per caso, per un istante,
ci siamo destati così vicini.

Ho potuto vivere in un altro regno, in un altro mondo,
a molte leghe dalle tue mani, dal tuo sorriso,
su un pianeta remoto, irraggiungibile.

Sono potuto nascere secoli fa
quando non esistevi in nulla
e nelle mie ansie di orizzonte
potevo indovinarti in sogni di futuro,
ma le mie ossa a quest’ora
non sarebbero che alberi o pietre.

Non è stato ieri né domani, in un altro tempo,
in un altro spazio,
né giammai accadrà
quantunque l’eternità lanci i suoi dadi
a favore della mia fortuna.

Lascia che ti ami fino a quando la terra
graviterà al ritmo dei suoi astri
e ad ogni istante ci stupisca
questo fragile miracolo di esser vivi.
Non abbandonarmi fino a quando essa non si fermerà…

Eugenio Montejo