Di Marco Catania

Uno scorcio di paradiso

Uno scorcio di paradiso

Quando la Bellezza si mostra, tutte le essenze della vita convergono in lei come in un centro; ed ella ha quindi per tributario l'intero Universo.

Gabriele d'Annunzio


Il sottile confine che divide la città di Firenze e il suo museo più prestigioso, la Galleria degli Uffizi, è delineato da piazza della Signoria, cuore simbolico e politico del capoluogo toscano, e ancor di più dalla Loggia dell'Orcagna, con le sue sculture che sanciscono l'ingresso nel patrimonio museale e che allo stesso tempo vegliano sulle strade cittadine.

Se in piazza San Pietro a Roma il capolavoro del colonnato di Gian Lorenzo Bernini riesce a trasporre in architettura il messaggio universale della Chiesa - in un abbraccio ai fedeli che si recano in visita dal sovrano pontefice - così la piazza dei Signori, con i gruppi scultorei di alcuni tra i protagonisti della scultura cinquecentesca, si è fatta diretta testimonianza dell'eternità dell'arte, metafora della magnificenza come celebrazione del potere di chi ha compreso in passato che l'immortalità presso i posteri si può acquisire solamente con il dono della bellezza. Piazza della Signoria è così l'immagine del dominio - politico e culturale - della dinastia medicea, in particolare di Cosimo I, di cui ha attraversato sfarzo e declini, rivendicando ancora oggi il prestigio di chi ha governato con sapienza e valore, rendendo la città il centro, per definizione, del Rinascimento, un secolo straordinario per la storia universale delle arti.
All'ombra del maestoso Palazzo Vecchio, centro del potere, con l'altissima torre di Arnolfo di Cambio, tra gli archi della Loggia che custodisce una vera e propria antologia di sculture, si può percepire il senso più profondo della Bellezza, poeticamente raccontato da questo meraviglioso prolungamento del museo che - come accade solo in Italia - esce dai suoi confini istituzionali per trovare libera espressione, senza più limiti né restrizioni.

Protagonisti assoluti della piazza sono dunque i grandi scultori cinquecenteschi, su tutti Benvenuto Cellini e Giambologna, ma dinanzi a Palazzo Vecchio tutto comincia con il maestoso David, emblema di forza spirituale e di libertà, capolavoro assoluto - per quanto concerne l'ambito statuario - di Michelangelo Buonarroti, sostituito da una copia nell'Ottocento per ragioni conservative. A fianco del David l'Ercole e Caco di Baccio Bandinelli, statua databile agli anni Trenta del XVI secolo, riflette lo spirito del Manierismo ed è stata spesso accusata per il suo "gigantismo" nell'imitazione delle fattezze muscolose e virili del Buonarroti. Il messaggio è invece di semplice lettura, in continuazione tematica con il David, in quanto vediamo Ercole che sovrasta la figura dello sconfitto ai suoi piedi, vale a dire il brigante Caco, personaggio della mitologia romana. A completare la facciata di Palazzo Vecchio è la Fontana del Nettuno di Bartolomeo Ammannati, celebrazione dei gloriosi traguardi marittimi ottenuti dal Granducato di Toscana.

Spostando l'attenzione alla Loggia dei Lanzi, rapiscono per solennità e virtuosismo d'artificio le statue poste in primo piano sotto le due arcate laterali, ossia il Perseo di Cellini e il Ratto delle Sabine del Giambologna.
Ultimato nell'anno 1554 per volere del duca Cosimo I de' Medici - raffinato committente deciso ad esprimere attraverso il mecenatismo la propria grandezza - il Perseo è sicuramente la statua più celebre di Firenze dopo il David, nonché uno dei suoi simboli eterni, capace di consacrare Cellini, che firmò orgogliosamente l'opera bronzea, come un grande scultore e non più soltanto un orafo quale era sempre stato.
L'idea della sfida realizzativa accomuna il Perseo alla scultura adiacente, ossia il Ratto delle Sabine, nato dalle accuse rivolte a Giambologna di non essere in grado di lavorare con un blocco marmoreo dalle dimensioni imponenti e destinato al pubblico giudizio.
Cellini narra personalmente ed in modo emozionante della fusione del Perseo nelle pagine della sua straordinaria e avventurosa autobiografia, sebbene spesso romanzata, descrivendo una vera e propria impresa a cui nessuno - ed in tal senso non esagerava - era mai riuscito prima anche solo per il coraggio di fondere un blocco così grande. Colto da una febbre creativa e, aggiunge, ormai prossimo alla morte, Cellini ebbe la meglio su ogni ostacolo e consegnò a Firenze il suo eroe, quel semidio della mitologia greca, figlio di Zeus e Danae, che aveva decapitato la terribile Medusa, ed era giunto a ristabilire ordine e giustizia, riferimento alla politica medicea contro ogni dissidente o nemico della pace.
Meno allusiva a livello politico e certamente più poetica è il Ratto delle Sabine, il cui titolo con cui è solitamente ricordata può trarre in inganno, non essendo intenzionato l'autore a raffigurare l'episodio mitico del rapimento delle giovani sabine da parte dei romani, bensì a dar vita ad un soggetto con cui competere con il David e lo stesso Perseo, elevando il significato a qualcosa di più alto. Nel gesto del braccio della donna, rivolto verso l'alto, sarebbe quindi raffigurato l'anelito d'eternità insito nell'uomo, il suo bisogno di qualcosa di più grande - che coincide con il significato di Dio - che per contrasto è represso dalla stessa condizione terrena. Per altri critici sarebbe invece la rappresentazione delle tre età dell'uomo, con il più vecchio posto in basso, il giovane e atletico uomo virile più in alto ed infine la bellissima adolescente piena di vita.
Sicuramente quello che si può constatare è la novità assoluta dell'opera del Giambologna, che è la prima statua barocca nel senso più autentico del termine, in quanto connotata da un movimento a spirale che esige una pluralità di punti di vista, come se lo spettatore fosse sollecitato magicamente a girare intorno all'opera per avere una completa fruizione di ogni singola veduta, ennesimo colpo di teatro di un piccolo scorcio di paradiso che accarezza l'anima dolcemente con la sua infinita Bellezza.


Note: la fotografia di copertina è stata scattata nel luglio 2023.
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