Di Marco Catania

Trionfo della morte

Trionfo della morte

Numerosi sono i riferimenti e le suggestioni musicali nei romanzi di Gabriele d'Annunzio, da Il piacere - capolavoro della Roma decadente con il suo indimenticabile protagonista, Andrea Sperelli, alter ego del poeta che vive d'arte nel suo raffinato estetismo - sino a Il fuoco, in cui d'Annunzio si consacra erede del genio di Richard Wagner, impostando la trama sulla creazione di un'opera d'arte totale tra i marmi del Teatro d'Apollo, alternativa latina alla Bayreuth wagneriana.
A completamento della trilogia dei "Romanzi della Rosa" - insieme a Il piacere e L'innocente - nel 1894 uscì il Trionfo della morte, un romanzo che ricalca i precedenti nel fallimento del protagonista, Giorgio Aurispa, che, nello stesso leitmotiv decadente dei personaggi degli altri due libri, perderà la donna amata a causa della propria inettitudine, del suo vanaglorioso egocentrismo accompagnato da un bisogno di autopunizione che lo porterà ad un suicidio che è insieme omicidio.
Aurispa è una sorta di Sperelli che si guarda indietro in cerca delle sue origini, stanco di vivere a Roma e desideroso di ricominciare dalle sue tanto disprezzate origini abruzzesi, anticipando l'idea dell'autore di comporre, qualche anno più tardi, il dramma pastorale La figlia di Iorio. La medesima necessità rigenerativa il protagonista la vive nella passione per Ippolita Sanzio, in cui si specchia la relazione del Vate con Barbara Leoni, ispiratrice negli stessi anni anche delle impressioni poetiche delle Elegie romane.
Il romanzo, che si rivela una delle prose maggiormente incentrate sull'espressione musicale, sviluppa la tematica di amore e morte attraverso il richiamo del Tristano e Isotta di Wagner che accompagna Giorgio e Ippolita sino all'estremo atto finale, oltre che l'interpretazione dei concetti superomistici nietzschiani. Nella propria inettitudine, Giorgio non riesce a lottare per rimanere attaccato alla vita, lasciandosi trasportare da una morte che, vista come trionfale, non è altro invece se non il proprio definitivo fallimento nel momento stesso in cui trascinerà con sé anche l'amata. Evidente è la contrapposizione con l'epilogo amoroso di Tristano e Isotta, basti dire che il verso conclusivo dell'ultima pagina del romanzo dannunziano, «e precipitarono nella morte avvinti», non ha nulla a che vedere con il Tristano del «ch'amor di nostra vita dipartille» di dantesca memoria o con l'abbraccio, «che, come vedi, ancor non m'abbandona», in cui sono uniti eternamente Paolo e Francesca nel Canto V dell'Inferno.
Il suicidio che apre e chiude il romanzo, in principio con la morte dello zio Demetrio e poi con quello del protagonista, accenna così ad un tragico eterno ritorno nietzschiano che lega indissolubilmente l'Aurispa alla figura dello zio, a cui si dente vicino per raffinato estetismo, in particolare nell'inclinazione alla musica, e per quell'insanabile sofferenza verso la mediocrità del reale che li rende sdegnosamente aristocratici.
Non era stata, per lui e per Demetrio, la Musica una Religione? Non aveva ad entrambi ella rivelato il mistero della vita suprema? Ad entrambi ella aveva ripetuto, ma con un senso diverso, la sentenza del Cristo: «Il nostro regno non è di questo mondo».


In chiusura del libro secondo, visitando la casa paterna e la stanza dove lo zio si era tolto la vita, Giorgio e Ippolita, come anche Andrea e la sua amata nel Piacere, si lasciano trasportare dalle sensazioni musicali, questa volta puramente visive, quasi la figura di Demetrio si manifestasse negli strumenti musicali abbandonato e negli spartiti sparsi per la camera.

Nella terza stanza, severa e semplice, le memorie erano musicali, venivano dai muti istrumenti. Sopra un lungo cembalo levigato, di palissandro, ove le cose si riflettevano come in una spera, riposava un violino nella sua custodia. Sopra un leggìo una pagina di musica si sollevava e si abbassava ai soffii dell’aria, quasi in ritmo con le tende.

Giorgio si avvicinò. Era una pagina d’un Mottetto di Felix Mendelssohn: – DOMENICA II POST PASCHA: Andante quasi Allegretto: Surrexit pastor bonus… – Più in là, sopra un tavolo, giacevano ammonticchiate le partiture per pianoforte e violino, edizioni di Lipsia: Beethoven, Bach, Schubert, Rode, Tartini, Viotti.


Come in una visione onirica e come in un dipinto di Arnold Böcklin, ecco comparire l'austera immagine di Demetrio, intento a suonare il violino, evocato da Giorgio, in quell'idea ricorrente in d'Annunzio per cui la musica è soprattutto espressione di un ricordo.

La figura di Demetrio, alta, smilza, un po’ curva, con un collo lungo e pallido, con i capelli rigettati indietro, con la ciocca bianca sul mezzo della fronte, riapparve. Teneva il violino. Si passò una mano su i capelli, alla tempia, sopra l’orecchio, con un atto che gli era familiare. Accordò l’istrumento, diede la pece all’archetto; incominciò la sonata. La sua mano sinistra scorreva su le corde, lungo il manico, premendole con la punta delle dita scarne, convulsa e fiera, mentre di sotto la pelle il gioco de’ muscoli era così palese che faceva quasi pena. La sua mano destra eseguiva la cavata con un gesto largo e impeccabile. Talvolta, egli appoggiava più forte il mento, reclinava il capo, socchiudeva le palpebre, raccogliendosi tutto nella delizia interiore.


Il significato più recondito del romanzo, quel desiderio di morte nella ricerca di un senso esistenziale, è ancora una volta affidato alla musica, che ritorna nel primo di una serie di autori romantici di cui si serve l'autore per avvicinarsi al terribile gesto suicida del finale.

Riapparve così, a Giorgio, il violinista. Ed egli rivisse ore di vita già vissute; le rivisse non soltanto in ispirito ma in sensazione reale e profonda. Rivisse quelle lunghe ore di calda intimità e di oblio, quando egli e Demetrio, soli, nella stanza tiepida ove non giungeva un romore, eseguivano la musica dei prediletti maestri. […]

Quante volte avevano ripetuto una Romanza senza parole di Felix Mendelssohn, che aveva rivelato a loro stessi, nel fondo della loro anima, nella parte più intima della loro sostanza, una specie d’inconsolabile disperazione!


Le citazioni di componimenti romantici, in un registro linguistico costantemente onirico, proseguono con Robert Schumann e Fryderyk Chopin, per concludersi con Wagner, quell'autore che lega l'intera opera, così come nel Fuoco, sancendone la tragica conclusione.

Una Pagina di Roberto Schumann evocava il fantasma d’un amore inveterato che aveva disteso sopra di sé a guisa d’un artifiziale firmamento il tessuto delle sue memorie più belle e con una dolcezza attonita e triste lo vedeva a poco a poco impallidire. Un Improvviso di Federico Chopin diceva come in sogno: «Odo nella notte quando tu dormi sul mio cuore, odo nel silenzio della notte una stilla che cade, che lenta cade, eguale continua cade, così da presso, così lontano! Odo nella notte la stilla che dal mio cuore cade, lo stillante sangue che dal mio cuore cade, quando tu dormi, quando tu dormi, io solo. […]

Ma nel preludio del Tristano e Isolda l’anelito dell’amore verso la morte irrompeva con una veemenza inaudita, il desiderio insaziabile si esaltava in una ebrezza di distruzione.


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