Di Marco Catania

Raccontare la guerra: una novella di Pirandello

Raccontare la guerra: una novella di Pirandello

Guerra, patria e amor paterno: Frammento di cronaca di Marco Leccio e della sua guerra sulla carta nel tempo della Grande Guerra europea, da "Novelle per un anno" (1919).
Con il consueto stile sottilmente psicologico, che pone l'attenzione all'animo dei suoi personaggi, Luigi Pirandello compose tra il 1916 e il 1917 una novella sul tema della guerra, attualissimo nel nostro paese impegnato da poco al fronte a fianco di Francia e Inghilterra, avendo scelto di schierarsi contro Austria e Germania con le quali era legato in precedenza dalla Triplice alleanza.
Attraverso la figura di Marco Leccio, garibaldino repubblicano che aveva vissuto il Risorgimento, Pirandello analizza, con nostalgia ed ironia, la differenza tra un passato intriso di senso patriottico ed un presente, quello della Grande Guerra, in cui il conflitto ha perso ogni ideale, divenendo "guerra di macchine e guerra di mercato", combattuta con armi d'avanguardia mai utilizzate prima. In tale situazione l'ormai anziano Marco Leccio non può che sentirsi a disagio, ma inconsapevolmente sembra non volersi rendere conto della propria inadeguatezza, arrivando a mettere in soggezione il suo figlio più piccolo, l'amato Giacomo.
Uomo tutto d'un pezzo sposatosi per dovere - vale a dire per mantenere il patto sancito con un amico di battaglia durante la sconfitta di Bezzecca - Leccio ha avuto ben otto figli, ai quali ha dato i nomi dei protagonisti della gloriosa stagione risorgimentale, a cominciare dal primogenito Giuseppe, in richiamo ovviamente a Garibaldi, modello imprescindibile di riferimento che Leccio, dal profondo senso del dovere, seguì anche quando l'eroe dei due mondi appoggiò la linea monarchica allontanandosi dagli ideali repubblicani in cui egli credeva. Seguirono poi Bezzecca, come la sconfitta risorgimentale, Anita come la moglie di Garibaldi e ancora Nino in ricordo di Bixio, infine Giacomino, il minore.
Deluso dall'atteggiamento del primogenito Giuseppe, che per via della frequentazione di un sacerdote, amico di famiglia, si era avvicinato alla fede, Leccio mostra invece un certo orgoglio nei riguardi di suo figlio più piccolo, Giacomino, avuto in tarda età, arruolato per la guerra.
Nasce come conseguenza di questa chiamata un dissidio profondo nell'animo del protagonista, derivante dal sincero affetto che prova per natura un padre verso il figlio, la cui preoccupazione vince anche il convinto senso patriottico. Si tratta di un aspetto estremamente psicologico a cui indaga Pirandello, attento al ruolo della figura paterna - cifra ricorrente nella letteratura di inizio Novecento - il quale sperimentò in prima persona tale esperienza con la chiamata alle armi del figlio Stefano.
Leccio, rivendicando il proprio orgoglio patriottico, decide improvvisamente di arruolarsi nonostante i sessantasette anni e una salute cagionevole a seguito degli anni trascorsi nella campagna dell'Agro romano per la bonifica del territorio, fatica che gli ha causato una dolorosa sciatica.
«Marco Leccio vuole avere il merito di camminare libero e spedito, sigaro in bocca, occhio ilare e bastone levato, con quel tormento che non lo lascia mai. Un dolore sordo, contundente. Un dolore pazzo che ora gli dà freddo ora caldo alla gamba. E certi pruriti, e certi formicolii… Niente. Vuole esser piú forte del suo dolore, a ogni costo. A nove anni, nel 1857, per imparare a soffrire per la patria, obbligava i compagni di giuoco a strappargli i capelli dal capo a uno a uno. Presentava la testa e, strizzando gli occhi e stringendosi le braccia incrociate sul petto, ordinava: — Strappate!».

Si può immaginare l'imbarazzo di Giacomino nel presentarsi in caserma accompagnato dal padre, che appare come un uomo stanco, perso nel ricordo e nella nostalgia del passato, incapace di comprendere i cambiamenti del presente; scarto generazionale a cui ogni figlio deve fare i conti con il sopraggiungere della vecchiaia per i genitori, che si amano profondamente e con maggiore tenerezza proprio quando li si vede smarriti e tanto anacronistici al cospetto della realtà, come pensa fra sé Giacomino, ormai rassegnato alla vergogna di fronte ai militari.
«È spesso un gran dolore e una grande mortificazione per i figliuoli il notare che al proprio padre gli altri non dànno e non possono dare quella stessa realtà ch'essi gli dànno. Per essi il padre è quale lo amano e lo rispettano, in casa, in famiglia, per tutta quella parte della loro vita, che resta legata e sottomessa all'affetto paterno, all'autorità paterna. Ma fuori, nelle relazioni con gli altri, è ben triste l'impressione dei figli nel vedere il padre staccarsi dalla loro realtà per entrare in quella che gli altri gli daranno».

Giacomino avrebbe voluto sparire o quantomeno poter portar via il padre, per proteggerlo, nel momento della sua presentazione dinanzi alla commissione, composta per selezionare i giovani da arruolare, quando l'anziano garibaldino cominciò con impeto tenendosi una mano sul petto:
«Questa guerra, signor colonnello, avremmo dovuto combatterla soltanto noi! Noi. Perché è la guerra nostra. Quella che ci costrinsero a troncare nel bel meglio, il 1866! [...]
Vecchi ci troviamo, quasi finiti, e dobbiamo mandare avanti i nostri figli, nei quali forse il ribrezzo non freme e l'odio non ribolle come in noi! Ma noi, no, signor colonnello! noi, cosí vecchi come siamo, dobbiamo esser messi avanti a tutti! come avanti a me, a Bezzecca, fu messo mio padre! I figli ci debbono veder cadere, noi vecchi, perché cosí l'odio, il furore della vendetta divampi in loro uguale al nostro e uguagli quelle forze che a noi vecchi mancano! Ho già tre figli al campo e vengo a portare quest'ultimo. Vogliamo essere soldati semplici, signor colonnello, tanto io che mio figlio».

Il colonnello della commissione accolse gentilmente, quasi con tenerezza, la richiesta di quel bizzarro volontario tanto patriottico quanto segnato nel fisico, tuttavia l'iniziale volontà di accogliere la sua richiesta e premiarne la tenacia si scontrò inevitabilmente con la visita medica, a seguito della quale Marco Leccio si sentì dire che avrebbe potuto indossare la divisa per i meriti e l'impegno dimostrati in passato, ma che avrebbe dovuto seguire il conflitto dalla caserma, dietro le scartoffie: il fronte, con lo schieramento in prima linea, era impensabile e da escludere categoricamente.
Accogliendo con rassegnata serenità il responso, Leccio non respinse l'incarico e, a malincuore, si convinse che ormai il passato non poteva più tornare. Avrebbe seguito la guerra da casa sua, dietro le proprie cartine geografiche che ne ricostruivano gli accadimenti, in compagnia di un fedele compagno d'armi.
Più che la delusione per la propria personale sconfitta, causata dal naturale tramonto dell'esistenza, nel finale emerge però la vera motivazione del perché Leccio fosse andato incontro ad una richiesta tanto ingenua, come se l'apparire ormai fuori luogo e ridicolo fosse in realtà frutto di una lucida scelta dettata da un profondo sentimento:
«Giacomino rimase, e lui se ne tornò solo in vettura, aggrondato, sconfitto, con tale cupezza di misantropia scolpita nel volto, che non poteva dipendere dalla sola disperazione di quel disinganno. Difatti, non dipendeva da questo soltanto. In fondo, egli non si era ingannato; lo aveva previsto. Gli sarebbe certo piaciuto andare a morir bene lassú; ma non per questo soltanto aveva fatto quel tentativo di arruolamento quasi disperato. La coscienza delle sue condizioni fisiche gliel'avrebbe forse sconsigliato. Un'altra ragione lo aveva spinto, che non voleva dare a vedere nemmeno a se stesso: — Giacomino».

L'impavido e valoroso garibaldino, ardito soldato e devoto patriota, era soprattutto un padre, un padre preoccupato per il figlio che andava incontro al rischio e al pericolo estremo, un figlio ancora piccolo e da proteggere, per il quale ogni orgoglio e ideale - così come le convinzioni di un'intera esistenza - non contavano più nulla, perché se avesse potuto, egli sarebbe andato volentieri al suo posto, per difenderlo, per rimanergli accanto nelle ore più dolorose della guerra.


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