Di Marco Catania

Il cattivo poeta

Il cattivo poeta

Uno dei luoghi comuni nel quale ci si imbatte costantemente durante il proprio percorso di studi liceale, per sentito dire dai professori, oppure per una semplice visione poco approfondita, è quello di accostare, al punto di farle coincidere, la figura di Gabriele d'Annunzio ed il fascismo. Vi sono storici che, erroneamente, continuano a considerare il Vate uno dei fondatori o quantomeno un precursore del regime che governò il nostro paese in un ventennio drammatico per la storia recente. Sicuramente d'Annunzio è da considerare un mentore di Benito Mussolini, che lo prese a modello durante la propria ascesa politica, tuttavia durante il governo fascista non vi fu uomo più distante dalla dittatura come l'ormai anziano e sfiduciato Comandante dell'Impresa di Fiume.
Ad avvalorare tale tesi è un film uscito nelle sale nel 2020 e diretto da Giampiero Judica, ambientato per la maggior parte nella sfarzosa villa di Gardone, il Vittoriale degli Italiani dove d'Annunzio - interpretato egregiamente da Sergio Castellitto - decise di ritirarsi in una sorta di esilio volontario.
Pur senza rifiutare gli onori del regime e chiedendo costantemente cospicui assegni per finanziare la costruzione della casa-museo progettata dall'architetto Giancarlo Moroni, d'Annunzio guardava con disprezzo le squadre fasciste e i suoi capi di governo, deluso dalla cattiva imitazione che gli uomini del duce facevano di lui e manifestando più volte il proprio timore nel periodo in cui si andava delineando sempre più l'alleanza con la Germania.
Mussolini, che cercò costantemente di tenere sotto controllo la figura del Vate - che in molti vedevano come il possibile artefice della marcia su Roma o come il capo di una destra moderata - arrivò ad introdurre alcuni suoi uomini di fiducia fra le mura del Vittoriale per spiare i segreti e le intenzioni di un poeta ormai giunto al tramonto della sua inimitabile esistenza.
Questo è il filo conduttore della pellicola, che vede per protagonista un giovane federale bresciano di nome Giovani Comini, il quale verrà mandato al servizio del Vate da Achille Starace, uno dei più convinti sostenitori di quella dittatura che lo portò alla morte e alla medesima fine di Mussolini in piazzale Loreto a Milano.
Comini, formatosi orgogliosamente negli ideali fascisti ed in procinto di una prestigiosa carriera, capirà a poco a poco, grazie alla vicinanza di d'Annunzio, come tanti di quegli aneddoti che aleggiavano intorno alla figura del Vate - e che ancora oggi sono degli stereotipi - non siano altro che fantasie derivanti da un'esistenza che, effettivamente, fu irripetibile e sempre ai limiti dell'eccesso, ma fondata su saldi ideali. D'Annunzio rivelerà al giovane federale come «di ogni idea bella se ne realizza sempre una versione più cupa" e che in quei «tempi dal cielo chiuso» tutto ciò che «sembra grandezza non è che prepotenza».
Il titolo scelto dal regista, apparentemente contraddittorio per chi conosce i versi sublimi delle Laudi, è tratto da una personale descrizione giovanile dello stesso poeta: «Mi sta fitto in cuore un desiderio smodato di sapere e di gloria, che spesso mi mette addosso una melanconia cupa e tormentosa e mi sforza al pianto: [...] amatore ardente dell'Arte nuova e delle donne belle: singolarissimo nei gusti: tenacissimo nelle opinioni: schietto fino alla durezza: prodigo fino allo sciupio: entusiasta fino alla follia... Che più? Ah! Avevo dimenticato una cosa: son cattivo poeta e intrepido narratore di sogni».
Questi versi delineano con precisione l'orientamento malinconico e decadente del film, in un Vittoriale quasi spettrale dove Comini, perdendo gli affetti più cari a causa della sua scelta politica, arriverà a comprendere quei valori indissolubili su cui si è basata l'esistenza del poeta, rammaricandosi e struggendosi nel constatare gli errori commessi dai fascisti nel mal interpretare le idee dannunziane, proprio come era accaduto alla filosofia nietzschiana per il quanto concerne il nazismo.
Il film, che lascia intendere nel finale a un possibile avvelenamento di D'Annunzio, si conclude con la morte del poeta nel marzo del 1938. Poco più tardi, tutti quei presagi manifestati da colui che a seguito della perdita dell'occhio destro nel corso della Grande Guerra si era definito "l'orbo veggente", si avvereranno nelle loro più dolorose conseguenze...

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Note: la fotografia di copertina è stata scattata nel marzo 2023.


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