Saul

Uno dei meriti indiscussi del grande poeta Vittorio Alfieri fu quello di aver restituito prestigio al genere tragico in un secolo, il Settecento, basato soprattutto sulla commedia di Carlo Goldoni ed il melodramma di Pietro Metastasio.
La tragedia, con la sua rappresentazione appassionata della sofferenza e dell'eroismo individuale, è fenomeno tipico dell'illustre tradizione drammatica occidentale, a cominciare dall'Iliade di Omero, passando per l'Orestea di Eschilo, per arrivare sino a William Shakespeare. La modernità, tuttavia, sembra aver smarrito il senso più profondo di questo genere di primaria importanza nella nostra storia letteraria ed il Settecento italiano - sebbene sia stato il secolo teatrale per eccellenza, con la costruzione del Teatro alla Scala di Milano e il San Carlo di Napoli - si caratterizzò per una posizione secondaria, rispetto alla Francia di Corneille e Racine, per quanto riguarda il genere tragico. Grazie ad Alfieri, con opere come Saul o Mirra, la tragedia tornò ad avere il prestigio di cui godeva sin dall'antichità.
Non è un caso che fu proprio un autore formatosi nella lingua francese durante la giovinezza, per il quale l'italiano rappresentò sempre una conquista, a riportare in voga la tragedia, nella quale solamente una lingua come la nostra, grazie alle sue sfumature e sonorità, può veramente esprimere ogni rappresentazione dello stato d'animo o il moto più intimo di un personaggio. Il secondo motivo per cui fu l'Alfieri a consentire la rinascita della tragedia è certamente da individuare nella personalità dello scrittore, vissuto in pieno XVIII secolo ma già proiettato, per inquietudini e dissidi, nella stagione romantica, vale a dire quella del perdersi nella malinconica e solitaria ricerca di se stessi, consci della possibilità di naufragare negli abissi dell'immenso che ci circonda o nella follia che incombe minacciosa, come sulla figura del re Saul.
Alfieri fu veramente il precursore del Romanticismo, inteso come superamento e rimessa in discussione delle certezze dell'Illuminismo, insufficienti a colmare il vuoto che pervade l'umano, bisognoso di tornare a guardarsi dentro, in senso non solamente religioso. Se il periodo romantico fu caratterizzato da un ritorno alla spiritualità, bisogna infatti ricordare l'ateismo dei suoi massimi precursori, ossia Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi e lo stesso Alfieri. Per lo scrittore piemontese, pur non essendo credente, l'ambito religioso è comunque qualcosa che, nella propria sensibilità romantica, dovette affascinarlo notevolmente, ed è anche il motivo della nascita del Saul nell'anno 1782.
Si legge nelle meravigliose pagine della Vita, la celebre autobiografia dell'Alfieri: «Fin dal marzo di quell'anno mi era dato assai alla lettura della Bibbia, ma non però regolatamente con ordine. Bastò nondimeno perch'io m'infiammassi del molto poetico che si può trarre da codesta lettura, e che non potessi più stare a segno, s'io con una qualche composizione biblica non dava sfogo a quell'invasamento che n'avea ricevuto. Ideai dunque, e distesi, e tosto poi verseggiai anche il Saulle, che fu la decimaquarta, e secondo il mio proposito d'allora l'ultima dovea essere di tutte le mie tragedie. E in quell'anno mi bolliva talmente nella fantasia la facoltà inventrice, che se non l'avessi frenata con questo proponimento, almeno altre due tragedie bibliche mi si affacciavano prepotentemente, e mi avrebbero strascinato; ma stetti fermo al proposito, e parendomi essere le quattordici anzi troppo che poche, lì feci punto».
Questo passaggio è fondamentale in quanto pone in risalto la vivace invenzione creativa dell'autore e la sua attenzione ad un testo come la Bibbia, nel quale tutto è grandioso e magnifico, spesso anche irrazionale, aspetti vicini alla poetica romantica. Il Saul doveva inoltre essere l'ultima delle quattordici tragedie alfieriane, poi seguita dalla Mirra, concepito come il vertice assoluto della propria drammaturgia. I versi sono infine importanti perché permettono a noi lettori di capire i tre principali momenti, da lui chiamati "respiri", nei quali dava vita alle sue tragedie: ideare, stendere e verseggiare. Per chiarire la modalità di composizione si può approfondire facendo riferimento ancora una volta all'autobiografia, fonte inesauribile di conoscenza dell'Alfieri come uomo e poeta: «Questi tre respiri con cui ho sempre dato l'essere alle mie tragedie, mi hanno per lo più procurato il beneficio del tempo, così necessario a ben ponderare un componimento di quella importanza; il quale se mai nasce male, difficilmente poi si raddrizza. Ideare dunque io chiamo, il distribuire il soggetto in atti e scene, stabilire e fissare il numero dei personaggi, e in due paginucce di prosaccia farne quasi l'estratto a scena per scena di quel che diranno e faranno. Chiamo poi stendere, qualora ripigliando quel primo foglio, a norma della traccia accennata ne riempio le scene dialogizzando in prosa come viene la tragedia intera, senza rifiutar un pensiero, qualunque ei siasi, e scrivendo con impeto quanto ne posso avere, senza punto badare al come. Verseggiare finalmente chiamo non solamente il porre in versi quella prosa, ma col riposato intelletto assai tempo dopo scernere tra quelle lungaggini del primo getto i migliori pensieri, ridurli a poesia, e leggibili. Segue poi come di ogni altro componimento il dover successivamente limare, levare, mutare».
Il momento dell'ideare prevedeva dunque la scelta del soggetto, suddiviso in atti e scene a seguito dell'aver stabilito il numero dei personaggi; stendere voleva dire fissare il testo in prosa, inserendo i dialoghi; verseggiare era infine il momento conclusivo del trasporre il tutto in endecasillabi sciolti. Seguiva un ulteriore lavoro di revisione e riduzione del contenuto, riducendo le parti e i personaggi superflui. Lo stile alfieriano si caratterizza infatti per la sinteticità, con la presenza di pochi personaggi e di scene di dialogo, seguendo, per soddisfare questa esigenza di brevità, le regole aristoteliche di tempo, luogo e azione.
Se le scene di "confidenza" shakespeariane, ossia quelle di dialogo fra il sovrano e il suo consigliere, oppure tra la protagonista e la propria nutrice, spariscono quasi completamente, l'Alfieri preferì invece la profonda conoscenza psicologica delle personalità portate sulla scena, a scapito della pluralità di personaggi, scegliendo sempre protagonisti: «agitati tutti da passioni fortissime, che tutte s'incalzano e si urtano e s'inceppan fra loro». Questo focalizzarsi sulle umane passioni e su personalità lacerate nell'interiorità della loro psiche, rende l'Alfieri, come detto, un precursore dell'età romantica e di un secolo, l'Ottocento, che culminerà con la scoperta dell'inconscio e della psicoanalisi da parte di Sigmund Freud.

Ideato e composto nel 1782, quando Alfieri si trovava a Roma, il Saul fu pubblicato nell'anno 1789, in un contesto europeo di precario equilibrio appena precedente allo scoppio della Rivoluzione francese. Il dramma alfieriano analizza il difficile confine che separa i poteri religioso e politico, spirituale e terreno, un tema centrale nei dibattiti tra gli intellettuali illuministi, la cui conseguenza fu la ribellione popolare ai danni della figura di Luigi XVI Borbone, che troverà la morte per decapitazione insieme alla consorte Maria Antonietta.
Dedicarsi ad un Saul nel contesto di fine secolo, prendendo ispirazione dalla Bibbia, voleva anche porsi in contrasto con Voltaire, e dunque con l'ideologia illuminista, un autore da cui Alfieri prese le distanze a seguito della lettura e dell'ammirazione giovanile, schierandosi in aperta polemica col filosofo e la cultura francese. Voltaire si era infatti dedicato ad un'omonima tragedia, incentrata però sulla derisione della religione ebraica, con chiari allusioni antisemite.

Personaggi

  • Saul
  • Gionata (figlio di Saul)
  • Micol (figlia di Saul)
  • David 
  • Abner (consigliere e ministro del re)
  • Achimelech (sacerdote)

L'opera d'arte

La scultura di Michelangelo Buonarroti raffigurante Lorenzo de' Medici duca di Urbino, custodita nella Sagrestia Nuova presso la basilica di San Lorenzo a Firenze, riassume perfettamente l'idea della personalità del protagonista della tragedia alfieriana, il re Saul, crucciato dai propri pensieri e atterrito da visioni spettrali che affollano la sua mente instabile. In Michelangelo - si pensi al Cristo del Giudizio universale nella Cappella Sistina o al Mosè di San Pietro in Vincoli - manca la completa quiete come la completa azione, in una riflessiva tristezza che, sebbene la posa statica, non esprime nel duca urbinate una tranquillità interiore, ma, al contrario, la lacerazione del proprio animo.


Come si nota i personaggi della tragedia, ai quali bisognerebbe aggiungere il defunto sacerdote Samuele, il cui spirito viene continuamente evocato, sono relativamente pochi, scelta ben consapevole nello stile di Alfieri, che aveva deciso, a partire dall'Antigone, di ridurne drasticamente il numero, dichiarando con orgoglio come nelle proprie scene fossero state eliminate tutte quelle parti superflue che non facevano altro che allungare una trama di cui rivendicava la necessità dell'essenzialità tragica: «né ombre visibili e parlanti, né lampi, né tuoni, né aiuti del Cielo; non vi si vedono uccisioni inutili, o minacce di uccisioni non naturali né necessarie; non vi si vedono in somma né accattate inverisimili agnizioni, né viglietti, né croci, né roghi, né capelli recisi, né spade riconosciute, etc., etc.».

Riassunto e analisi

La tragedia si articola in cinque atti, che rispettano le unità aristoteliche, ponendo in risalto l'importanza della parola, un po' come aveva fatto Metastasio per il melodramma con il dualismo recitativo-aria, consapevole che la parola aveva perso progressivamente valore a scapito del momento musicale.
Dedicata «al nobil uomo il signor abate Tommaso Valperga di Caluso», amico torinese dell'Alfieri, la tragedia si apre nel campo degli Israeliti con un monologo di David, eroe generoso e di grande fama, in cui annuncia la volontà di combattere i Filistei.
Nella seconda scena Gionata - uomo di fede che rispetta la figura di David in quanto unto dal Signore, nonostante la sua figura lo allontani dall'ereditare il potere paterno - rivela al valoroso combattente che suo padre il re è vittima di allucinazioni e mal consigliato dal malvagio generale dell'esercito Abner, inoltre che la sorella Micol, amata da David, soffre per la sua lontananza e lo attende.
Saul compare solamente nel secondo atto, quando è giunto il giorno della battaglia decisiva fra Ebrei e Filistei, recitando dei versi che, come un'epigrafe, ne scolpiscono sin da subito l'inquieta personalità.

Bell'alba è questa. In sanguinoso ammanto
oggi non sorge il sole; un dì felice
prometter parmi. - Oh miei trascorsi tempi!
Deh! dove sete or voi? Mai non si alzava
Saùl nel campo da' tappeti suoi,
che vincitor la sera ricorarsi
certo non fosse.

Saul, probabilmente il personaggio più riuscito dell'intero teatro alfieriano, pone qui in evidenza i suoi tratti distintivi, ossia il glorioso passato vittorioso a cui si contrappone una vecchiaia lacerata dal dubbio e dalla follia. Pur essendo in un istante di lucidità, celebrando il sopraggiungere di una bella giornata, è proprio l'assenza del sanguinoso cielo che è solito vedere al mattino a dipingerne l'oscurità in cui è avvolta la sua mente, ossessionata da visioni oniriche. È dunque l'elemento di momentanea assenza del dolore, nell'originale idea dell'Alfieri, a sancire la costante malattia che affligge il monarca. Il proprio dissidio si riverserà così su Dio e soprattutto su David, del quale non riesce ad accettarne psicologicamente il successo ed il favore di cui gode dall'alto, rivedendo in lui se stesso nel corso degli anni passati.
Da notare è la frammentarietà degli endecasillabi, accompagnata da un forte utilizzo della punteggiatura, con punti esclamativi e puntini di sospensione finalizzati a porre in risalto le pause e la sensazione di precarietà, in affinità con i turbamenti del protagonista.
Il sovrano ebraico dialoga con Abner, che prova a rincuorarlo ricordandone le gesta più importanti, ma Saul, ancora lucido, spiega come la visione della vita sia diversa una volta sopraggiunto, inesorabile, il tramonto dell'esistenza.

Abner, oh! quanto in rimirar le umane
cose, diverso ha giovinezza il guardo,
dalla canuta età! [...]
Ma, non ho sola
perduta omai la giovinezza... Ah! meco
fosse pur anco la invincibil destra
d'Iddio possente!... e meco fosse almeno
David, mio prode!...

Saul afferma di essere un uomo abbandonato da Dio, dopo che Samuele lo aveva consacrato primo re degli ebrei su richiesta del popolo, e rimpiange l'aver esiliato David, capace un tempo di confortarlo col suo canto. Abner, al contrario, attribuisce l'attuale disgrazia del re all'eroe stesso.
Sopraggiunti i figli di Saul, Gionata e Micol, il sovrano sembra aver già perso le speranze manifestate all'alba.

...Meco è sempre il dolore. - Io men sorgea
oggi, pria dell'usato, in lieta speme...
ma, già sparì, qual del deserto nebbia,
ogni mia speme.

Gionata prova a confortarlo, mentre Micol chiede di potersi ricongiungere con il suo amato, ma il re la apostrofa come "Figlia del pianto", chiedendo di essere lasciato solo e insorgendo in versi quasi leopardiani.

Piangete tutti. Oggi, la quercia antica,
dove spandea già rami alteri all'aura,
innalzerà sue squallide radici.
Tutto è pianto, e tempesta, e sangue, e morte:
i vestimenti squarcinsi; le chiome
di cener vil si aspergano. Sì, questo
giorno, è finale; a noi l'estremo, è questo.

Sopraggiunge d'improvviso, nella terza scena, David, che umilmente chiede al suo re di combattere contro i nemici, mostrandogli la propria fedeltà. Saul appare attratto e allo stesso turbato dalla comparsa inaspettata, constatando la presenza divina in David: "Un Iddio parla in te". L'eroe ricorda allora la giovanile decapitazione del gigante filisteo Golia, che terrorizzava il popolo d'Israele. Abner accusa però David di tramare contro Saul, così il monarca chiede al guerriero se le accuse siano vere e se possa dimostrare i suoi intenti sinceri.
Compare qui uno dei pochi elementi scenici, solitamente quasi totalmente assenti nelle spoglie rappresentazioni dell'Alfieri, la cui decisione di inserirli risulta fondamentale proprio perché rara, ponendo in risalto i particolari. Si tratta di un lembo del mantello di Saul, tagliato da David con la propria spada mentre il suo re dormiva, prova del fatto che pur potendo approfittare di quel momento per ucciderlo, così da prenderne il potere, lo aveva risparmiato. Probabilmente ad Alfieri era tornato alla mente, in questi versi, la scena dell'Amleto in cui Claudio, addormentatosi, è vegliato dal nipote, che riflette sulla possibilità di vendicarsi.
Saul, confortato, decide di affidarsi interamente a David, cedendogli il comando dell'esercito e chiedendo a Gionata di combattere con lui, scusandosi infine con Micol per gli errori commessi.

Il giorno,
sì, di letizia, e di vittoria, è questo.
Te duce io voglio oggi alla pugna: il soffra
Abner; ch'io 'l vo'. Gara fra voi non altra,
che in più nemici esterminare, insorga.
Gionata, al fianco al tuo fratel d'amore
combatterai: mallevador mi è David
della tua vita; e della sua tu il sei.
[...]
Deh! figlia, (il puoi tu sola) ammenda in parte
del genitor gli involontari errori.

La possibilità di una pacificazione duratura con i figli e con David, si rivelerà di breve durata nel terzo atto. A seguito di un dialogo fra David e Abner, che avevano sancito una tregua alla loro rivalità in nome dei comuni obiettivi, Saul torna infatti ad essere perseguitato dalle tenebre, incapace di riconoscere i figli e spaventato da presagi nefasti.

La pace
mi è tolta; il sole, il regno, i figli, l'alma,
tutto mi è tolto!... Ahi Saùl infelice!
chi te consola? al brancolar tuo cieco,
chi è scorta, o appoggio?... I figli tuoi, son muti;
duri son, crudi... Del vecchio cadente
sol si brama la morte: altro nel core
non sta dei figli, che il fatal diadema,
che il canuto tuo capo intorno cinge.
Su strappatelo, su: spiccate a un tempo
da questo omai putrido tronco il capo
tremolante del padre... Ahi fero stato!
meglio è la morte. Io voglio morte...

Gionata chiede allora a David di calmare il re con uno di quei canti con cui era solito allietarlo, così il giovane comincia a cantare. Inizialmente il monarca sembra trovare conforto, quando all'improvviso il racconto di un episodio bellico da parte di David, lasciatosi trasportare da un impeto nel rievocare le proprie qualità in battaglia, portano Saul a delirare, afferrando la spada per colpirlo. Solamente l'intervento di Gionata e Micol riesce ad evitare il peggio, con David che è costretto a fuggire.
Nel quarto atto Gionata e Micol dialogano in merito al ritorno di David, necessario ai fini della vittoria, ma la cui presenza potrebbe alterare la fragile stabilità psichica del padre, il quale domanda di David e dell'affetto dei figli, come a volersi sincerare che lo amino davvero. La follia, intesa come quella forza incontrollabile e oscura che pervade la profondità dell'individuo - e che più avanti sarà chiamata inconscio - non porta che allontanare Saul dagli affetti, sospettando di tutti, sino ad arrivare a condannare ingiustamente il sacerdote Achimelech. La vittima, su cui si proietta l'odio del re nei confronti della casta sacerdotale, viene accusata di aiutare David. Non difendendosi, anzi indicando in Abner un cattivo consigliere, Achimelech troverà la morte. A questo punto, in finale d'atto, il sovrano è veramente più solo che mai, insorgendo in un compianto di se stesso in cui la ripetizione dei pronomi evidenzia la lacerazione della sua persona.

Sol, con me stesso, io sto. - Di me soltanto,
(misero re!) di me solo io non tremo.

Il quinto ed ultimo atto, il più breve, si svolge al sopraggiungere della notte, chiudendo in perfetta armonia con le unità aristoteliche la giornata di guerra. David e Micol si separano teneramente e ed il conflitto volge al termine con la vittoria dei Filistei, pronti ad attaccare Saul. Ormai in preda alla pazzia, il sovrano chiede di essere lasciato solo, per andare incontro alla morte con una dignità eroica tipica dei protagonisti alfieriani, capaci di ergersi impavidi dinanzi alla disfatta, vinti ma non piegati. La morte di Saul, che sceglie di togliersi la vita, trafiggendosi con la propria spada nel momento dell'invasione nemica, è una sorta di vittoria morale sui Filistei e su se stesso, su quella orrenda follia che lo aveva privato della ragione, della sua anima. Con questo estremo gesto, Saul recupera la propria dignità umana e regale, morendo da sovrano.

Oh figli miei!... - Fui padre. -
Eccoti solo, o re; non un ti resta
dei tanti amici, o servi tuoi. - Sei paga,
d'inesorabil Dio terribil ira? -
Ma, tu mi resti, o brando: all'ultim'uopo,
fido ministro, or vieni. - Ecco già gli urli
dell'insolente vincitor: sul ciglio
già lor fiaccole ardenti balenarmi
veggo, e le spade a mille... - Empia Filiste,
me troverai, ma almen da re, qui... morto. -