L'uomo di fronte all'universo:
l'immensità dell'arte e della poesia
"Dimmi, chi ami di più, tu, uomo enigmatico? Tuo padre, tua madre, tua sorella oppure tuo fratello?"
"Non ho padre, né madre, né sorella o fratello".
"I tuoi amici?"
"Ti servi di una parola il cui senso mi è rimasto fino a questo momento sconosciuto".
"La tua patria?"
"Ignoro sotto quale latitudine essa sia situata".
"La bellezza?"
"L'amerei volentieri, dea e immortale".
"L'oro?"
"Lo odio, come tu odi Dio".
"Eh! che ami tu dunque, straordinario straniero?"
"Amo le nuvole... le nuvole che passano... laggiù... laggiù... le nuvole meravigliose!"
Charles Baudelaire
È davanti al cielo, all’immenso, che l’uomo da sempre si
interroga e si pone delle domande prendendo coscienza della sua piccolezza e
avvertendo allo stesso tempo quella sensazione di piacere e paura angosciante che è tipica dell’esperienza del sublime.
Molti soggetti dipinti dal pittore Caspar David Friedrich sono colti mentre contemplano un paesaggio grandioso come Viandante sul mare di nebbia. Un uomo ben vestito con in mano un bastone da passeggio e con i capelli scompigliati dal vento osserva il panorama, avvolto dalla nebbia come se fosse mare, da cui il titolo dell'opera.
Solo, di fronte al sublime spettacolo dei massicci che si perdono all'orizzonte, egli sembra quasi trattenere il respiro, misurare la propria nullità dinanzi all'immensità di questo cielo silenzioso, inquietante e misterioso. Anche se l'artista non ci mostra gli occhi del viandante, crediamo di conoscere ugualmente il suo sguardo e la sensazione che prova: la sua visione, che poi è quella del pittore, è infatti diventata la nostra.
Da Dante al Romanticismo, analizzando la poetica del Leopardi e la pittura di Friedrich, passando per Foscolo e Van Gogh, vedremo brevemente come molti animi sensibili di grandi artisti e poeti siano stati influenzati dal rapporto con l'ignoto e la grandezza dell'universo, dell'infinito, e come questi temi siano costantemente presenti nella cultura umanistica.
La nostra letteratura ha inizio proprio con "Fratello Sole" e "Sorella Luna" del Cantico delle creature di San Francesco d'Assisi composto nel 1224. Nell'opera il santo trova conforto negli elementi della natura che con un infinito e silenzioso amore gli fanno capire di essere parte di un'immensa vita che è molto più di quanto l'umano possa immaginare.
Nella Divina Commedia di Dante Alighieri, l'opera più importante della letteratura italiana, uno dei temi principali è quello dell'astronomia per il quale il Poeta mostra una notevole conoscenza ed un particolare interesse. Nell'intero percorso della Commedia l'astronomia ha un decisivo compito strutturale e descrittivo, ad esempio nella definizione di tempi e luoghi, e quindi è elemento portante della costruzione poetica.
Ognuna delle tre cantiche termina infatti con la parola "stelle" e, in particolare, nel Paradiso si trovano circa quaranta passi astronomici, nel Purgatorio trenta e venti nell'Inferno.
I più autorevoli studiosi del Sommo poeta scrivono che era caratteristica della sua personalità quella di perdersi nei pensieri e nell'immaginazione senza rendersi conto di ciò che gli accadeva intorno. Sicuramente si interrogava ed era incuriosito dal cielo e da ogni suo meraviglioso elemento. Dante era fortemente convinto sin dalla giovinezza di essere diverso; si sentiva predestinato, trovava un segno del destino in ogni episodio della sua vita ed era convinto di essere stato investito da Dio nella missione profetica di salvare l'umanità con la scrittura della Commedia. Ad insegnargli questo valore fu sicuramente anche il suo maestro Brunetto Latini, figura fondamentale per la crescita umana e poetica di Dante. Nel Canto XV dell'Inferno Latini gli ricorda infatti di credere sempre nei suoi ideali e nei sogni; solo così potrà arrivare alla gloria e restare vivo per l'eternità: "Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorïoso porto".
Sorprendente è come si immagini il Paradiso, la cui struttura è costruita sulla cosmologia geocentrica di derivazione aristotelica, il cosiddetto sistema tolemaico. Al centro dell'universo è la Terra e l'uomo; intorno ruotano nove sfere concentriche ed esternamente a queste vi è l'Empireo, un decimo cielo eterno e infinito di pura luce e amore, “luogo” in cui ha sede Dio nella sua vera e propria essenza.
È nei cieli del Paradiso che Dante si ritrova e vede ognuno di noi nell'istante in cui gli è concesso, per un attimo eterno, di vedere Dio: "l'amor che move il sole e l'altre stelle".
Il concetto del sublime, cioè la paura e la bellezza che provoca la vista e il pensiero dell'infinito, è nato durante il Romanticismo, il più vasto e complesso movimento culturale della prima metà dell'Ottocento.
Questa duplice sensazione che si avverte al cospetto dell'immensità, deriva dalla filosofia del pensatore tedesco Immanuel Kant e divenne un vero e proprio ideale nell'età romantica.
Il movimento romantico si concentra su ciò che si prova, sulle emozioni più intime. L'uomo avverte il bisogno di mostrare la sua fragilità, si sente piccolo e ha paura di fronte all'eterno e cerca delle risposte molto attuali sul senso dell'esistere. Il poeta e critico dell'arte francese Charles Baudelaire affermava: "Chi dice romantico dice arte moderna, cioè intimità, spiritualità, colore, aspirazione verso l'infinito espresse con tutti i mezzi che le arti offrono".
La bellezza e la grandezza dell'arte è proprio il rappresentare un moto dell'anima, un sentimento, riuscendo a renderlo visibile senza parole e senza spiegazioni. E in un solo dipinto di Friedrich è racchiuso l'intero concetto romantico.
In Monaco in riva al mare del 1808 la contemplazione dell'infinito trova la massima espressione. Il magnifico dipinto rappresenta un angoscioso paesaggio marino nel quale un monaco solitario, tenendosi il capo tra le mani, resta immobile osservando il tenebroso mare e l'immenso cielo sopra di lui. La prima impressione che si prova di fronte a un'opera del genere è quella di un vuoto impressionante: l'uomo è solo un granello di sabbia di fronte alla totalità della natura. Come da definizione del concetto di sublime, vediamo però anche, all'orizzonte, grazie alla differenza di colori, un cielo che pian piano si schiarisce e fa intravedere la luce che ci tranquillizza e ripone in noi la speranza.
Molto simile è un'altra opera di Friedrich intitolata Il tramonto. La sensazione che si avverte è malinconica: i due viandanti sembrano persi nell'immenso della natura che trova l'unione di terra, mare e cielo, e nella propria anima così piccola per contenere tutto ciò. Allo stesso tempo, però, i due soggetti, e quindi noi osservatori, vengono rasserenati dalla luce del tramonto che, non a caso dà il titolo al dipinto, vuole indicare la possibilità di un'altra vita dopo la morte.
L'immagine letteraria più nota della sera e dello stato d'animo che essa porta è presente nel celebre sonetto datato 1803 Alla sera di Ugo Foscolo, contemporaneo di Friedrich. Il poeta stava attraversando un periodo di grave crisi esistenziale: solo la sera riesce a placare le sue inquietudini interiori. Essa, immagine della morte e del nulla, rappresenta la fine del giorno e di una vita difficile e travagliata; forse per questo motivo è cara all'autore che, mentre la contempla, sente il suo cuore rasserenarsi.
Forse perché della fatal quïete
tu sei l'immago, a me sì cara, vieni,
o sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre, e lunghe, all'universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
Il poeta dell'infinito è Giacomo Leopardi che fa di questo concetto la sua poetica. Nel suo componimento più celebre che ha per titolo proprio L'infinito, lo straordinario significato espresso è il riuscire, da parte dell'umano, ad immaginare al di là di un limite; l'autore scopre la sua interiorità e le proprie emozioni più intime e il naufragare nel mare della propria anima è per lui un piacere. Da giovane, quando abitava a Recanati, Leopardi era solito recarsi a pensare e a sognare sul monte Tabor dove la vista del paesaggio immenso sottostante lo portò a comprendere in pieno il concetto romantico di infinito del quale scrive così nello Zibaldone, il suo diario di pensieri giovanili: "Veniamo alla inclinazione dell’uomo all’infinito. Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, ed in modo in cui le cose reali non sono… Il piacere infinito che non si trova nella realtà si trova così nell’immaginazione, dalla quale derivano le speranze, le illusioni... L'immaginazione è la prima fonte della felicità umana".
Sempre in cima al caro e solitario colle dell'infinito, Leopardi compose, osservando di sera la grandezza del cielo, l'idillio Alla luna, datato 1819, nel quale immagina un dialogo con la Luna a cui parla di sé stesso. I temi principali sono la giovinezza, l'ansia e l'infelicità dell'io, cui si contrappongono il piacere suscitato dal ricordo e il fascino consolatorio della natura. Il poeta ricorda di quando l'anno prima era seduto lì sul colle a parlare con la Luna che vedeva annebbiata e tremolante a causa delle lacrime dei suoi occhi. La situazione non è cambiata: il giovane autore sente ancora dentro sé un'angoscia e un'orrenda malinconia che lo portano alle lacrime, ma il ricordare e il vedere passare del tempo, suscita in lui un sollievo perché durante la giovinezza speriamo di diventare presto grandi anche se poi si rimpiangeranno questi anni, come il poeta scriverà nella canzone Il sabato del villaggio.
La figura della Luna incuriosiva e piaceva molto a Leopardi: ad essa confida molti suoi pensieri e sentimenti come nel Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, in cui affida le sue domande alla voce di un pastore nomade di un mondo totalmente diverso da quello del lettore, così che assumano un valore universale e assoluto, valido in ogni luogo e per ogni condizione sociale. Il pastore chiede alla Luna cosa faccia in cielo e se non si annoia di ripetere lo stesso percorso da sempre; si chiede anche cosa ci facciano tutte le luci delle stelle, ma non riesce a rispondersi: forse se si potesse avere almeno una spiegazione, conclude Leopardi, se si potessero contare le stelle ad una ad una, l'uomo sarebbe felice e la sua anima meno irrequieta; per adesso l'unica visione possibile della vita è negativa: "è funesto a chi nasce il dì natale".
Anche negli ultimi giorni di vita, esausto per le sofferenze fisiche, Leopardi compone dei versi osservando la Luna. Nella sua ultima poesia, Il tramonto della luna, manifesta sì una visione pessimistica della vita dell'uomo, ma è proprio il pessimismo che ci permette di apprezzare le qualità positive della giovinezza che fugge come la luce della Luna, portando via gli anni migliori e le loro speranze. Leopardi non ha vissuto questi anni, ma ci viene in aiuto per non avere rimpianti e renderci consapevoli del significato che ha per ciascuno di noi l'essere giovani, a saperne riconoscere e apprezzare il valore e vivere questa età fino in fondo.
La poetica di un altro celebre autore fu influenzata da un fenomeno astronomico: il giorno di San Lorenzo e delle "stelle cadenti" divenne una data simbolo per Giovanni Pascoli in quanto lo segnò da piccolo tanto da farla ricorrere costantemente nella sua poesia. Quando aveva solo dodici anni, infatti, il 10 agosto 1867, suo padre venne assassinato a colpi di fucile da sconosciuti, probabilmente per questione di affari. Nella poesia X agosto, composta per ricordare questo tragico anniversario, Pascoli narra di una rondine che rappresenta il padre in modo che non venga esplicitamente nominato. Afferma che anche il cielo, come lui, piange quel triste giorno in cui fu colpito da un dolore ingiusto e inspiegabile.
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!
Il pittore Vincent Van Gogh ripone tutto il suo stato d'animo tormentato e segnato da una vita sofferta nelle pennellate del cielo di Notte stellata, uno dei suoi capolavori, un dipinto di una bellezza incomparabile. Realizzò l'opera quando, in preda alla follia e
alla solitudine, si fece ricoverare presso l'ospedale psichiatrico di
Saint-Rémy. Dentro di lui un forte bisogno di affetto e un vuoto
incolmabile. Era solito recarsi all'aperto per osservare il cielo, "non mi stanco mai di un cielo
azzurro",
e la bellissima volta stellata che alla
sera gli teneva compagnia nella tristezza del
manicomio: così nacque questo dipinto famoso in tutto il mondo. Nelle
pennellate è evidente un vero e proprio delirio emotivo; l'autore riesce ad
esprimere una grande vitalità drammatica, ottenuto attraverso l'uso di segni
violenti, quasi rabbiosi, e intensi colori che creano le forme e danno vita al
cielo. Le stelle ruotano vorticosamente, come impazzite, a rappresentare
l'animo dell'artista.
Ed io, minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza, a immagine
del mistero,
mi sentii parte pura
dell'abisso,
ruotai con le stelle,
il mio cuore si sparpagliò nel vento.
Pablo Neruda
Questo percorso artistico - letterario ha voluto toccare il rapporto che vi è da sempre tra l'uomo e l'universo: ogni persona sensibile sente il bisogno dell'eterno dentro di sé; spesso ci si interroga sul senso dell'esistenza senza trovare risposte, ma arrivando ad avere la consapevolezza che la vita non può essere solo questa; c'è qualcosa di più che va oltre la realtà e le sensazioni, e questo qualcosa l'uomo lo cerca nella vastità del cielo. Oltre agli artisti esaminati vi sono altri milioni di persone che hanno scritto, raffigurato o composto canzoni toccati da quella sensazione che si prova spesso nella vita di essere oggetto di qualcosa di infinito e che in molti hanno fatto coincidere con il sentimento dell'amore.
Una poesia dello scrittore statunitense Carl Sandburg, che ha per titolo Alla finestra, riassume in modo completo ciò che per un uomo è essenziale e a cui la sua anima non può fare a meno: "lasciatemi andare alla finestra... E aspettare, sapendo dell'arrivo di un po' di amore".
Datemi fame,
o voi dèi che sedete e date
ordini al mondo.
Datemi fame, dolore e mancanza,
chiudetemi fuori dalle vostre porte
d’oro e fama
con vergogna e fallimento,
datemi la vostra più meschina, sfinita fame!
Ma lasciatemi un po’ d’amore,
una voce che mi parli sul finire del giorno,
una mano che mi tocchi nella stanza buia
a spezzare la lunga solitudine.
Nel crepuscolo dello spettro del giorno
che offusca il tramonto,
una piccola errante stella d’occidente
che mi spinga fuori dalle mutanti rive dell’ombra.
Lasciatemi andare alla finestra,
e là guardare le figure del giorno all’imbrunire,
e aspettare, sapendo dell’arrivo di un po’ d’amore.
Riprendendo il tema romantico, l'uomo ha la capacità unica e grandiosa di poter comprendere in parte il concetto di infinito e immaginarlo. Gli autori trattati hanno dato ognuno la propria visione e hanno manifestato attraverso l'arte o la poesia i loro sentimenti più intimi di fronte all'immenso e i loro pensieri riescono ad accomunare quelli di tutti. Certamente non si riuscirà mai in questa vita ad arrivare ad una spiegazione di cosa ci sia dopo e quale il senso di un così grande mistero, ma la bellezza, la felicità, risiedono proprio nell'immaginazione, come afferma Leopardi. Nessuno può toglierci la gioia di sperare e credere all'eterno; Dante conclude la Commedia con la visione di Dio dicendoci che tutto ciò che è stato creato e quello che muove l'universo è un sentimento che l'uomo, nel suo piccolo, possiede. Questo è ciò che non cancellerà mai la nostra presenza nella vita: grazie all'amore siamo protagonisti dell'eterno e parte dell'universo.
Tutto è Amore, dissi; l'universo non è che Amore...
Ugo Foscolo