Eschilo

Eschilo è stato un drammaturgo dell'antica Grecia, il primo dei tre grandi tragediografi di cui ci siano pervenute opere per intero, seguito da Sofocle ed Euripide. Nato intorno al 525 a.C., è autore del primo testo di teatro della storia, I Persiani, datato 472 a.C., rappresentato per la prima volta ad Atene.
Durante le Grandi Dionisie, in cui le rappresentazioni teatrali divenivano vere e proprie competizioni, gli autori portavano in scena una tetralogia, cioè tre tragedie più un dramma satiresco. Eschilo vinse nel 458 a.C. con l'Orestea, l'unica tetralogia giunta intera sino a noi, fondamentale in quanto viene considerata un'enciclopedia di tutti i meccanismi tragici. Essa si compone delle tragedie Agamennone, Le Coefore e Le Eumenidi, seguite dal dramma satiresco Proteo, andato però perduto.
Dalle opere superstiti di Eschilo e dalle antiche testimonianze emerge una personalità forte, con una concezione del mondo di impronta tardoarcaica in cui confluisce la profonda consapevolezza della potenza divina.
Eschilo appartenne alla generazione protagonista della resistenza al nemico persiano, partecipando in prima persona al conflitto, come si evince dalla sua tragedia I Persiani.
La vittoria di Atene contro l'esercito inviato da Dario a Maratona nel 490 aveva rivelato le potenzialità della città, in primo luogo agli Ateniesi stessi, ponendo le basi per lo splendore dell'età classica e per la lunga egemonia politica ed economica durata fino alla Guerra del Peloponneso. Eschilo divenne così il simbolo della gloriosa ascesa di Atene.
A livello drammaturgico gli viene attribuita l'introduzione del secondo attore o deuteragonista; sarà invece Sofocle ad introdurre il terzo attore o tritagonista, in seguito utilizzato anche da Eschilo.
Importante è infine l'abbandono della cosiddetta "trilogia sciolta", i cui drammi non hanno un chiaro nesso tra loro a livello di contenuto, a favore della "trilogia legata", che prevedeva l'unità tematica e la continuità della trama.

I Persiani

È la più antica opera teatrale che ci è pervenuta ed è l'unica del teatro greco ad avere argomento non mitico ma storico. Narra infatti delle immediate conseguenze della battaglia di Salamina, tra Greci e Persiani, a cui l'autore stesso aveva partecipato. Uno dei protagonisti è Serse, lo sconfitto re dei Persiani.
Eschilo, nonostante sia greco e abbia partecipato al conflitto, mostra nella tragedia il punto di vista degli sconfitti senza esaltare i vincitori. Il suo obiettivo era quello di provocare un senso di pietà negli spettatori, alcuni dei quali erano gli stessi partecipanti alla battaglia avvenuta otto anni prima. Questa efficace soluzione drammaturgica fu ripresa probabilmente dalla tragedia Le Fenicie di Frinico, tragediografo poco più anziano di Eschilo, di cui fu rivale.
La scena si svolge a Susa, la residenza del re di Persia, dove la regina Atossa, madre del regnante Serse, attende con ansia l'esito della battaglia, narrando di aver fatto un sogno premonitore che le annunciava la sconfitta.
Il Coro, costituito dai vecchi persiani rimasti in città durante la guerra, elenca le ricchezze e le magnificenze dell'impero persiano, al fine di creare un contrasto col finale in cui verranno descritte le devastazioni e le perdite.
Non appena Atossa ha finito di raccontare il suo presagio nefasto, giunge un messaggero ad annunciare la totale disfatta dei Persiani. Serse, però, è ancora vivo. La regina si ritira in preghiera ed il Coro evoca l'ombra di Dario, padre di Serse e suo predecessore al trono. Il vecchio re assegna la colpa della disfatta al figlio, ritenuto troppo incauto. Egli aveva infatti costruito un ponte di barche per attraversare le acque, cercando di costruire terra sull'acqua e sfidando così i limiti imposti dagli dei. La troppa ambizione e la superbia (hybris) del re avrebbe fatto arrabbiare le divinità e questa sarebbe la causa dell'esito negativo.
La tragedia si conclude con il congedo di Dario che invita i suoi a godere della vita "anche in mezzo alle sciagure" e il ritorno di Serse con le vesti a brandelli lamentandosi di non essere caduto in battaglia ed elencando i morti e le devastazioni subite. L'opera è una rappresentazione metaforica dello scontro tra Occidente, la Grecia, e Oriente, la Persia.

I sette contro Tebe

Edipo uccide senza saperlo suo padre e come premio per aver sconfitto la Sfinge, guardiana di Tebe, diviene re della città sposando la regina vedova, sua madre Giocasta. Dopo aver scoperto quello che ha fatto, Edipo maledice i suoi figli maschi, Eteocle e Polinice, che lo avevano offeso. La tragedia vede i due fratelli combattere ferocemente per governare la città. Eteocle diventa re e Polinice, esiliato, decide di assediare la città.
Nella prima scena Eteocle viene avvisato da un messaggero del ritorno del fratello con sei capi di altre città per riprendere il potere. Entra il Coro fatto di fanciulle tebane che invocano gli dei e supplicano Eteocle di evitare la guerra. Il re le rimprovera aspramente mostrando la sua misoginia: "tacciano e stiano a casa". Un altro messaggero annuncia l'assedio delle sette porte della città. Eteocle schiera sei guerrieri e si reca lui stesso alla porta assediata dal fratello Polinice.
La battaglia ha inizio e un messaggero annuncia in seguito l'esito al Coro. Alle prime sei porte hanno vinto i tebani, mentre alla settima i due fratelli si sono uccisi a vicenda per volere di Apollo, nemico della stirpe di Edipo a seguito dell'incesto. Il Coro canta un lungo lamento funebre a cui partecipano anche le figlie di Edipo, Antigone e Ismene. La città di Tebe decide di seppellire Eteocle e di lasciare insepolto Polinice. Antigone si ribella perché vuole dare una sepoltura al fratello, ciò sarà l'argomento dell'Antigone di Sofocle.
Le ultime parole di Eteocle sono state: "non è possibile sfuggire ai mali inviati dagli dei"; dalla tragedia capiamo dunque che il destino degli uomini è segnato e quel fratricidio inevitabile.

Orestea

Trilogia incentrata sulle vicende di Agamennone, ucciso al ritorno dalla guerra di Troia dalla moglie Clitennestra e dal suo amante Egisto e infine vendicato dal figlio Oreste. In Agamennone si consuma il delitto tramato da Clitennestra e da Egisto; nelle Coefore vi è la vendetta da parte di Oreste; infine le Eumenidi hanno per oggetto il giudizio su Oreste ed il perdono per il matricidio commesso.

Agamennone

La prima tragedia dell'Orestea è ambientata ad Argo, dove il re Agamennone fa ritorno dalla guerra di Troia. Tuttavia la gioia per la buona notizia si accompagna ad un'inquietudine causata da tristi presentimenti. L'animo di Clitennestra è infatti carico di rancore nei confronti del marito, il quale uccise la loro primogenita Ifigenia come sacrificio propiziatorio alla partenza per Troia. Inoltre il padre di Agamennone, Atreo, aveva ucciso i fratelli e il padre di Egisto, che ora è l'amante della regina.
All'arrivo Agamennone è accolto con tutti gli onori e Clitennestra finge di essergli ancora fedele mostrandosi felice del suo ritorno. Lo persuade così ad entrare nella reggia, camminando su un tappeto color porpora, simbolo dell'imminente bagno di sangue. Nel finale si odono le grida di Agamennone, mentre Clitennestra ed Egisto tornano sulla scena annunciandone la morte.

Le Coefore

La seconda tragedia dell'Orestea prende il nome dalle portatrici di libagioni per i defunti. Esse giungono sulla tomba di Agamennone, ucciso dalla moglie Clitennestra e dal suo amante Egisto per prenderne il potere.
Oreste, figlio di Agamennone, dieci anni dopo l'omicidio del padre, torna ad Argo su ordine di Apollo per compiere la sua vendetta. Accompagnato dall'amico Pilade, si reca anch'egli a visitare la tomba di Agamennone. Sorpresi dall'entrata del Coro, formato dalle coefore, i due si nascondono, notando anche la presenza di Elettra, sorella di Oreste, costretta a vivere alle dipendenze dei due assassini.
Elettra e le coefore sono state mandate su ordine di Clitennestra ad omaggiare il marito ucciso, sconvolta da un sogno profetico che teme sia un presagio della collera degli dei nei suoi confronti.
Sulla tomba Elettra nota una ciocca di capelli lasciata da Oreste. Nessuno, pensa Elettra, a parte lei stessa o suo fratello, avrebbe mai offerto questo dono ad Agamennone, inoltre i capelli sono "uguali ai suoi", afferma rivolgendosi al Coro.
A questo punto Oreste si rivela e i due fratelli, dopo qualche esitazione, si riconoscono. Oreste riferisce del mandato di Apollo e decide che si introdurrà a palazzo sotto mentite spoglie per compiere la vendetta. Il Coro dichiara: "chi ha fatto del male lo patisca".
Presentatosi dinanzi alla madre senza essere riconosciuto, Oreste le annuncia la falsa notizia della propria morte. Clitennestra appare triste e fa chiamare Egisto. Il Coro, consapevole che il momento della vendetta è vicino, invoca l'aiuto di Zeus. Quando Egisto sopraggiunge, Oreste lo uccide, rivolgendosi subito dopo alla madre. La donna cerca di impietosirlo mostrandogli il seno, al fine di ricordargli di quando si prendeva cura di lui. Il figlio esita ad agire, così Pilade, che interviene per la prima e unica volta nella tragedia, gli ricorda l'ordine di Apollo, di fronte al quale Oreste vince le esitazioni e trascina la madre fuori scena compiendo, come afferma il coro, un'opera di giustizia.

Le Eumenidi

La terza tragedia dell'Orestea prende il nome dalle Erinni, dee che impersonano la vendetta, che qui compongono il Coro.
L'argomento è la purificazione di Oreste dall'orrendo matricidio commesso. La prima parte del dramma ha come scena il tempio di Apollo a Delfi, dove Oreste si è rifugiato come supplice, invocando la protezione della divinità per sfuggire alla persecuzione delle Erinni. Le dee giacciono assopite, così Apollo incoraggia Oreste a lasciare il tempio per recarsi ad Atene, dove dovrà sottoporsi al giudizio della dea protettrice della città. L'ombra di Clitennestra sveglia le Erinni e le rimprovera di essersi lasciate sfuggire Oreste.
La seconda parte del dramma si svolge ad Atene, dove le Erinni hanno raggiunto Oreste presso la statua di Pallade Atene intenzionate a punirlo. Interviene però la dea della città, che persuade le Erinni a sottoporre al giudizio di un tribunale il caso di Oreste: Apollo sostiene la difesa del giovane, mentre le Erinni l'accusa. Alla fine il voto dei giudici si divide in parti uguali, ma è il parere di Atena ad essere decisivo per l'assoluzione di Oreste. Così il figlio di Agamennone si allontana dichiarando alleanza fra Atene e Argo, lasciando le Erinni nella loro ira, dichiarando di scatenarsi contro Atene. La dea interviene però nuovamente promettendo loro che d'ora in avanti avranno onori divini e saranno chiamate Eumenidi, ossia le "benevole".