Lettera a Isabella Roncioni

Tra i numerosi rapporti amorosi di Foscolo, il sentimento che provava per la giovane Isabella Roncioni era quello più alto e sincero. Isabellina, come la chiamava il poeta, era qualche cosa di diverso dalle altre donne mature con cui aveva fino allora avuto rapporti. Insieme a lei sarebbe stato per tutta la vita, nonostante le difficoltà di un'esistenza in continuo esilio nel rimpianto della città natale e uno stato d'animo inquieto, tormentato. Forse con lei la sofferenza sarebbe stata molto meno dolorosa e la malinconia, il rimpianto, non sarebbero mai esistiti, ma la vita decise di separarli; nonostante ciò Isabella rimarrà il grande amore della vita di Foscolo che nella lettera si lega a lei per l'eternità.

Forse il poeta la vide per la prima volta per le vie di Firenze o lungo l'Arno e fu presentato a lei dall'amico Niccolini. Era giovane, esile e delicata, con capelli lucenti e occhi azzurri. Non si sa esattamente quando cominciò questo amore, ma dalla lettera si apprende che terminò nel gennaio 1801 quando il Foscolo, venuto a conoscenza che Isabella era stata costretta dal padre a fidanzarsi con un giovane nobile, non osò chiederla in sposa e decise di lasciare Firenze per non rivederla mai più. Questo gli causò non pochi rimorsi e sofferenze come si legge nel sonetto Perché taccia il rumor di mia catena. Foscolo non la dimenticò mai e la proclamò l'unica ispiratrice della figura di Teresa nell'Ortis.

Firenze, 1801.

Il mio dovere, il mio onore, e più di tutto il mio destino mi comandano di partire. Tornerò forse; se i mali e la morte non m'allontaneranno per sempre da questo sacro paese, io verrò a respirare l'aria che tu respiri, ed a lasciare le mie ossa alla terra ove sei nata.

M'era proposto di non più scriverti, e di non più vederti. Ma... io non ti vedrò, no. Soffri soltanto queste due ultime righe che io bagno delle più calde lagrime. Fammi avere in qualunque tempo, in qualunque luogo il tuo ritratto. Se un sentimento di amicizia e di compassione ti parlano per questo sventurato... non mi negare il piacere che compenserebbe tutti i miei dolori. Quel giovine felice che ti ama te lo consentirà egli medesimo. Egli è riamato, e piange. Da ciò potrà egli argomentare quanto io sono più infelice di lui, che potrà vederti ed udirti, e dividere teco il suo pianto; mentre io nelle fantastiche ore del mio cordoglio e delle mie passioni, annoiato di tutto il mondo, diffidente di tutti, malinconico, ramingo, con un piè sulla fossa, mi conforterò sempre baciando dì e notte la tua sacra immagine; e tu da lontano mi darai costanza per sopportare ancora questa mia vita. Morendo, io ti volgerò le ultime occhiate; io ti raccomanderò il mio estremo sospiro, io ti porterò con me nella mia sepoltura, con me... attaccata al mio petto... Oimè! io credeva d'essere più forte di quello ch'io sono.

Per carità non mi negare questo conforto. Consegnalo al Niccolini. L'amicizia troverà tutti i mezzi...

S'io morrò, egli lo custodirà come cara e preziosa memoria della tua bellezza e delle tue virtù. Egli piangerà sempre l'ultimo, infelice, eterno amore del suo povero amico.

Addio, addio. Non posso più.

Baciami Cecchino. Io te lo scrivo piangendo come un ragazzo.

Addio. Risovvengati qualche volta di me.

T'amo, e t'amerò sempre; e sarò sempre infelice.

Addio.

Il tuo amico Ugo.