In morte del fratello Giovanni

Sonetto del 1803 dedicato al fratello, morto nel 1801 forse per suicidio in seguito a un debito di gioco. Così scrive Foscolo: "Ei morì d'una malinconia lenta, ostinata, che non lo lasciò né mangiare né parlare per quarantasei giorni. [...] io temo che egli stanco della vita si sia avvelenato, e mia sorella mi conferma in questa opinione".

Per il tema dell'esilio, il componimento si ricollega al sonetto A Zacinto, mentre è vicino a quello Alla sera per l'immagine della morte come quiete contrapposta alla tempesta della vita.

Giovanni diviene il termine di paragone e una proiezione del destino di Ugo. Per i due fratelli il fato ha scelto una vita amara, in cui l'angoscia e il tormento hanno portato Giovanni al suicidio e il poeta al desiderio di raggiungerlo nel suo porto di quiete. Nella terzina finale Foscolo chiede che la madre possa almeno piangere sulle loro tombe; la possibilità di riunire la famiglia è quindi rinviata tragicamente dopo la morte.

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente, mi vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de' tuoi gentili anni caduto:


La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge i miei tetti saluto,


Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta;
E prego anch'io nel tuo porto quiete:


Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l'ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.

Due uomini di fronte al mare - Caspar David Friedrich - 1817