Caravaggio
Il successo romano
L'affermazione romana del Caravaggio, insieme a quella di colui che secondo alcuni critici fu il suo principale rivale, ossia Annibale Carracci, sancisce, con l'avvento del XVII secolo, l'inizio della grande stagione del Barocco, che fece di Roma la città più bella d'Europa.
Entrambi segnati da una breve esistenza, i due artisti provenivano da due realtà diverse rispetto a quella di Roma, portandovi le loro rispettive esperienze e influenze stilistiche giovanili. Sono proprio due loro capolavori, datati attorno al 1600, a sancire per convenzione l'avvento dell'arte barocca, contenendovi tutte quelle caratteristiche e innovazioni che si svilupperanno nel corso del nuovo secolo con maestri come Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini, Rubens e Pietro da Cortona, per continuare con il seguito dei loro allievi. Si tratta della Cappella Contarelli di Caravaggio nella chiesa di San Luigi dei Francesi e della volta della Galleria Farnese del Carracci, due opere emblematiche che lasciano senza fiato l'osservatore, capaci di segnare in modo indelebile la pittura moderna.
La chiesa di San Luigi dei Francesi, una delle più belle di Roma, è situata fra il Pantheon e piazza Navona, nel cuore artistico antico e moderno della città, e la sua facciata fu realizzata su progetto di Giacomo Della Porta. Una volta entrati non ci si accorge subito della presenza delle tre tele di Caravaggio, in quanto la cappella, dalle modeste dimensioni, è collocata in fondo alla navata di sinistra.
La chiesa di San Luigi dei Francesi in un'incisione settecentesca di Giuseppe Vasi.
Insieme alla Vocazione di San Matteo, l'attenzione dello spettatore è rapita dall'effetto della luce che caratterizza anche la scena del Martirio di San Matteo.
Gli studiosi hanno scoperto l'esistenza nel quadro di ben due versioni precedenti a quella finale, poi cancellate dall'autore per arrivare a quella definitiva che possiamo osservare, testimonianza della continua ricerca di perfezione e di nuova ispirazione da parte del Merisi. Questo ritrovamento ha confermato le teorie secondo cui l'artista lavorasse direttamente sulla tela, senza utilizzare cartoni preparatori, altro elemento a favore della sua genialità.
L'esecuzione del santo appare quasi come un delitto di strada, ambientato probabilmente all'interno di un edificio religioso se si nota la presenza di un altare e di una croce sullo sfondo. Secondo alcune agiografie, Matteo sarebbe stato infatti assassinato dopo aver celebrato messa.
Al centro della scena, vero e proprio palcoscenico teatrale, l'evangelista si trova a terra ferito dal suo assassino e alza la mano destra in segno di difesa, mentre un angelo disceso dal cielo gli porge prontamente la palma del martirio.
La luce, così come nella vocazione del santo, diviene l'elemento essenziale nel momento in cui è diretta ad illuminare l'aguzzino, il quale diviene il vero protagonista dell'opera in quanto peccatore. Ancora una volta la misericordia di Dio, nella concezione caravaggesca, si rivolge a chi è nel peccato, interpretazione fedele del messaggio cristiano e, forse, proprio per questo criticata da una chiesa che attraversava anni di profonda corruzione.
Per un istante gli sguardi della vittima e del suo carnefice si incontrano, appena prima del colpo mortale, in un colloquio silenzioso che Caravaggio sospende eternamente.
Gli spettatori dell'omicidio appaiono spaventati e inorriditi quasi da voler uscire dalla tela; fra loro si riconosce, nella concitazione generale, l'artista stesso, a sinistra dietro l'assassino, mentre osserva con profondo sconforto la scena partecipandovi emotivamente e riflettendo in essa il proprio stato d'animo.
Conclude il ciclo della cappella la pala d'altare, raffigurante San Matteo e l'angelo, eseguita più tardi rispetto agli altri due affreschi. L'angelo, con il gesto delle dita, sembra elencare al santo i misteri divini che dovrà narrare secondo la volontà del Signore. Quella che osserviamo è una seconda versione dell'opera, in quanto la prima venne rifiutata a causa della completa nudità delle gambe del santo, che qui ha invece solo i piedi scalzi. Egli appariva inoltre come un rozzo popolano analfabeta che l'angelo doveva guidare nello scrivere il Vangelo, mentre in questa versione successiva vediamo la figura di un dotto intento a scrivere di suo pugno ciò che l'angelo gli annuncia.
Racconta la vicenda il biografo seicentesco Giovan Pietro Bellori:
«Qui avvenne cosa che pose in grandissimo disturbo e quasi fece disperare il Caravaggio in riguardo della sua riputazione; poiché, avendo egli terminato il quadro di mezzo di San Matteo e postolo su l'altare, fu tolto via da i preti con dire che quella figura non aveva decorò né aspetto di Santo, stando a sedere con le gambe incavalcate e co' piedi rozzamente esposti al popolo. Si disperava il Caravaggio per tale affronto nella prima opera da esso publicata in chiesa. [...] Usò il Caravaggio ogni sforzo per riuscire in questo secondo quadro: e nell'accommodare al naturale la figura del Santo che scrive il Vangelo, egli la dispose con un ginocchio piegato sopra lo scabello e con le mani al tavolino, intingendo la penna nel calamaio sopra il libro. In questo atto volge la faccia dal lato sinistro verso l'angelo, il quale sospeso su l'ali in aria gli parla, e gli accenna, toccando con la destra l'indice della mano sinistra».
Rimanendo nei pressi di San Luigi dei Francesi, recandosi presso la basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio, si può osservare un'altra tela caravaggesca, fra le più suggestive, ossia la Madonna dei Pellegrini. Quello che affascina maggiormente è l'aver trasformato la pala d'altare nella porta della casa della Vergine, la quale sembra uscire incontro ai pellegrini inginocchiati al suo cospetto e allo stesso tempo a tutti noi in contemplazione della tela. Maria non appare in trono o circondata da angeli, ma in un contesto quotidiano, sullo stipite di una porta appunto, manifestandosi a due poveri, forse gli unici veramente puri di cuore tanto da poter assistere alla miracolosa visione.
Il dipinto era nato come pala d'altare dedicato alla Santa Casa di Loreto, che nell'iconografia tradizionale era raffigurata in volo con la casa in cui nacque Gesù, trasportata miracolosamente sulle nuvole da alcuni angeli. Lo stesso Carracci si era dedicato al medesimo soggetto rispettando le precedenti versioni, mentre Caravaggio si dedicò all'argomento in modo insolito e rivoluzionario, dividendo come sempre la critica fra ammirazione e sgomento. Ad essere condannati furono la posa di Maria, una donna semplice il cui modello fu preso dalla strada, tanto da essere paragonata alle prostitute che per le vie romane accoglievano i clienti. Furono inoltre criticati i piedi sporchi in primo piano del pellegrino, quasi una citazione del Mantegna del Cristo morto di Brera, che torneranno anche in altri lavori dell'artista, elemento realistico che nella visione cristiana del Merisi testimoniava la stanchezza e il lungo cammino del viandante, ma anche il faticoso percorso della fede, che può portare però all'infinito della gioia, ad un'apparizione che, in un istante, può manifestarsi a chiunque sia povero di spirito. Proprio l'attimo meraviglioso e salvifico è rapito nella scena dal Merisi, con la Vergine che sorregge un paffuto Bambino già grandicello e guarda con amore e commossa dolcezza i due fedeli. Il volo di Maria e della Santa Casa è solamente accennato dai piedi nudi della Madre di Gesù, sospesi in un movimento leggero e grazioso.
In perfetta aderenza teologica, la Vergine diviene il tramite fra il cielo e la terra, il divino e l'umano. Caravaggio, iniziatore dello stile barocco, agisce direttamente sulla psicologia dello spettatore e lo coinvolge, riuscendo a dare la sensazione che Maria esca per ognuno di noi e proprio nel momento esatto in cui ci mettiamo in contemplazione della tela.
Un'altra fra le prime e più riuscite pale d'altare romane del Merisi è la celebre Deposizione della Pinacoteca Vaticana, che il Bellori indica
«tra le megliori opere che uscissero dal pennello di Michele», inizialmente commissionata per la chiesa di Santa Maria in Vallicella. Cominciata intorno al 1602 e terminata entro il 1604, fu dipinta in un periodo relativamente sereno nell'inquieta esistenza del pittore lombardo, che qui sintetizza la lezione dei suoi principali maestri, dando vita a una tela che dimostra come si possa rendere vivo il vuoto classicista senza tuttavia cadere negli eccessi manieristici che caratterizzavano la produzione pittorica di questi anni.
Il corpo esanime di Cristo viene depositato su un'imponente tavola marmorea che presenta verso di noi il suo angolo, quasi ad uscire dalla tela, particolare inquadratura scenica che, insieme al resto della composizione, richiama con evidenza la Pietà di Simone Peterzano della chiesa di San Fedele a Milano, opera di cui Caravaggio vide la genesi quando era ancora molto giovane e sulla quale ebbe modo di costruire il proprio spiccato talento.
I segni della morte sono già chiaramente visibili sul corpo virile del Cristo deposto dalla croce, di cui in primo piano osserviamo il braccio destro abbandonato verso la parte inferiore della tela. Si tratta di un poetico omaggio da parte del Merisi a colui che fu il proprio ispiratore, Michelangelo Buonarroti, il suo tormentato omonimo capace, nella Pietà della basilica di San Pietro, di donare morbidezza al marmo. Nel volto di Nicodemo, che sostiene le gambe di Gesù, si potrebbe scorgere il volto del Buonarroti, il quale a sua volta si era ritratto proprio come il Nicodemo nella Pietà Bandini di Firenze.
Il dettaglio del braccio si ritrova anche nella Deposizione Borghese di Raffaello Sanzio, altro artista verso cui Caravaggio mostrò la sua incondizionata ammirazione, per un vero e proprio filo rosso che dalla Pietà di Michelangelo, passando per quella di Caravaggio, giunge sino a La morte di Marat, una deposizione laica, capolavoro di Jacques-Louis David, che sancisce l'avvento della contemporaneità.
Rispetto alla Pietà michelangiolesca, dove il volto della Vergine appare quasi più giovane rispetto a quello del figlio, per Caravaggio la madre di Gesù, che vediamo in secondo piano, è una donna solcata nel volto dalle rughe e afflitta nel proprio intimo dolore il cui realismo e la cui forza silenziosa si ergono ad emblema della sofferenza di ogni madre e dell'intera umanità.
Ad interrompere questo cupo silenzio che pervade la tela, accentuato dal drammatico contrasto fra luce e oscurità, è il gesto teatrale di Maria di Cheofa, la quale alza le braccia evocando la croce. Concludono la scena, in accordo con la fonte letteraria del Vangelo di Giovanni, una giovane ragazza, probabilmente la fidanzata del pittore, nei panni di una bellissima Maddalena in lacrime che sembra non voler guardare il corpo privo di vita del Cristo, mentre San Giovanni, l'unico discepolo rimasto con Gesù sino ai piedi della croce, sostiene le spalle dell'amato Maestro guardandone con devozione il volto.
Curioso fu il destino della Madonna dei Palafrenieri, l'ultima commissione inerente al genere di pale d'altare avute in questo prolifico periodo dal Merisi, che era destinata nientemeno che per la basilica di San Pietro, all'altare della Confraternita dei Palafrenieri nella cappella di Sant'Anna. Oggi, però, il dipinto è custodito alla Galleria Borghese, rifiutato, probabilmente per ordine del nuovo pontefice Paolo V, per il notevole scandalo sollevato, come narra il Bellori nelle Vite:
«fu tolto ancora da uno de' minori altari della Basilica Vaticana, ritratti in esso vilmente la Vergine con Giesù fanciullo ignudo, come si vede nella Villa Borghese».
Il soggetto raffigura la Vergine con il Bambino che, sotto lo sguardo di Sant'Anna, schiacciano il serpente simbolo del peccato originale, ma allo stesso tempo allusione all'eresia protestante.
Caravaggio perse l'occasione di entrare con la propria arte nella basilica più importante di tutta la cristianità avendo posto in primissimo piano la nudità del piccolo Gesù di cui risaltano anche le parti più intime, ma soprattutto per aver scelto come modella della Vergine una donna di dubbia reputazione di nome Lena Antognetti, forse la fidanzata del pittore, il cui volto compare anche nella Madonna dei Pellegrini, qui però ai limiti del pudore nel pronunciato décollétte, con un seno prosperoso che non sfuggì alla censura.
Sebbene soggetto a numerose critiche e sotto lo sguardo attento dei mecenati più moralisti, per Caravaggio le committenze continuarono ad aumentare, al punto che, non ancora terminato il ciclo di affreschi in San Luigi dei Francesi, fu chiamato per un lavoro simile in un'altra cappella destinata a divenire uno dei tesori della città eterna e della storia dell'arte, vale a dire la Cappella Cerasi, progettata dall'architetto Carlo Maderno nella basilica di Santa Maria del Popolo.
Al tesoriere papale Tiberio Cerasi si deve la scelta lungimirante del Merisi per due delle tre pale presenti, ma ancor di più il merito di aver fatto lavorare nello stesso luogo due pittori ormai considerati i principali protagonisti sul prestigioso palcoscenico artistico romano: Caravaggio e Annibale Carracci. Divisi stilisticamente e sul piano umano, la loro rivalità non è ancora oggi del tutto conclamata, tuttavia la si può facilmente paragonare a quella che anni prima aveva contrapposto Michelangelo e Raffaello, impegnati in Vaticano tra sentimenti di reciproca ammirazione, volontà di superarsi e desiderio di guadagnarsi i favori del pontefice.
Allo stesso modo le strade del Merisi e del Carracci, che da Milano e Bologna erano giunte ad incontrarsi a Roma, toccarono qui il confronto più prestigioso ed evidente, che permette a noi spettatori di capirne le inconciliabili caratteristiche.
Le due tele laterali furono affidate a Caravaggio e dedicate alle vicende di Pietro e Paolo, i santi patroni della città, mentre quella principale al Carracci, impegnato nella scena dell'Assunzione della Vergine.
Avvicinandosi verso la cappella, situata in fondo alla navata sinistra, si ha la sensazione di un moto ascensionale e di uno slancio vitale verso il cielo, verso Dio. Carracci, pur rispettando la tradizione e un'impostazione classica del tema, riuscì infatti ad arrivare ad un risultato mai raggiunto in precedenza da nessun altro autore, conferendo alla sua pala l'idea di movimento improvviso della scena e di Maria, con le braccia rivolte in alto, come se l'evento avvenisse in quell'esatto istante scenografico.
Alla tela carraccesca si contrappongono per impostazione quelle del Merisi, con gesti agli antipodi ma in qualche modo collegati all'opera del bolognese. Sia nella Crocifissione di Pietro che nella Conversione di Saulo si manifesta infatti quella ricorrente concezione terrena del manifestarsi divino, che irradia gli uomini anche se nel peccato. Gli uomini impegnati con fatica nell'alzare la croce del primo papa, in particolare quello accovacciato di spalle di cui vediamo solamente i piedi sporchi, sono illuminati dalla luce che si propaga dal corpo di Pietro, mentre Saulo, colpito direttamente dalla luce del Signore, sarà convertito nel profondo dell'anima divenendo Paolo, il cui moto di paura e stupore espresso dal tendere le braccia appare correlato al gesto glorioso e salvifico della Vergine.
Caravaggio ebbe modo qui di ispirarsi direttamente al Michelangelo dei suoi ultimi lavori pittorici nella Cappella Paolina, dando vita a due tele che sembrano uscire dai limiti stessi della cornice, come a dire che ognuno di noi è parte di quell'abbraccio universale di Maria, capacità coinvolgente e spettacolare dell'arte barocca, qui nei suoi vertici assoluti in un maggiore classicismo di tipo raffaellesco da parte del Carracci e in un realismo più concreto del Merisi.
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