Di Marco Catania

D'Annunzio in San Pietro

D'Annunzio in San Pietro

Uno degli indiscussi protagonisti della vita mondana romana di fine Ottocento fu il grande poeta Gabriele d’Annunzio, cantore di quel mondo raffinato, estetizzante e aristocratico del quale la massima espressione fu il romanzo del 1889 Il piacere. Preludio di questo capolavoro del decadentismo europeo sono le sublimi poesie di Elegie romane, nate come frammenti ispirati dalla città eterna, dai suoi musei, dalle sue basiliche e dalle sue case patrizie, in cui il Vate conobbe il fascino dell’eleganza e il bisogno del superfluo, scegliendo l’Arte come modello assoluto in quanto amante fedele ed immortale, valore supremo anche per il suo alter ego Andrea Sperelli: «Bisogna fare la propria vita, come si fa un'opera d'arte».

La raccolta di poesie, a cui lavorò negli anni fra il 1887 e il 1892, si inserisce negli anni in cui prese forma Il piacere, la cui stesura fu rapidissima ma frutto di un impegno senza sosta che occupò lo scrittore per cinque mesi, trascorsi in un ritiro assoluto presso la sua terra nativa, l'Abruzzo, dimostrando una notevole resistenza al lavoro e la capacità di evadere da quel mondo felice ma ozioso della società romana. I carmi del poeta sono anche espressione dell’appassionata storia d’amore con la giovane e bellissima Elvira Natalia Fraternali, ribattezzata con il nome di Barbara da d’Annunzio, che per lei compose sinceri versi di devozione ma anche di malinconico distacco sino a giungere all’opposto sentimento di una passione che si fece a poco a poco sempre più fievole.
Le Elegie romane dannunziane sono il punto di arrivo di una lunga tradizione che ha fatto di Roma lo scenario d’elezione di alcuni illustri viaggiatori e scrittori, che da Montesquieu sino a Chateubriand, passando per l’omonima raccolta di poesie di Goethe e le sublimi Passeggiate romane di Stendhal, hanno cantato la bellezza della città pontificia, cuore della perfezione artistica del Rinascimento di Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio e delle stravaganze sfarzose del Barocco di Gian Lorenzo Bernini.
D’annunzio fu particolarmente sensibile ai maestri del Cinquecento e ai virtuosismi architettonici e scenografici berniniani, così vicini al sogno di quell’opera d’arte totale di cui il Comandante parlerà ne Il fuoco. Emblema dell'idea di opera d'arte assoluta, capace di coniugare in se molteplici esperienze artistiche, è sicuramente il "bel composto" berniniano, che trova massima espressione nella Cattedra di San Pietro nell'abside della basilica di San Pietro, nel cui scenario si apre una delle liriche più suggestive di Elegie romane:

L'ABSIDA è nel mistero raccolta. Un'ombra rossastra
occupa il vano. Al fondo luce il metallo, enorme.

Sorgono scintillando per l'ombra le quattro colonne

che nel pagano bronzo torse il Bernini a spire.

Sopra la croce il grande miracolo pende, che in terra
offre alla faticosa anima umana un cielo.

Lampade tutte d'oro in torno alla duplice scala
ardono, dove il sesto Pio reclinato prega.

Muti, il mistero e l'ombra s'addensano in velo di morte.
L'ora si perde. Un passo va lontanando: tace.

Ma di repente il Sole, fierissimo violatore,
(oh trionfate nubi pe 'l ceruleo

giugno!) fendendo l'ombra dal culmine, investe la fredda
tomba ove Paol terzo, calvo e barbato, siede.

Sotto il suo bacio, come un tempo nel letto del Borgia,
rosea nel marmo vive Giulia Farnese ignuda.


Il poeta ha attraversato l'intera navata dell'immensa basilica ed è rapito, dietro al baldacchino e all'altare principale, dalla luce che irradia l'ombra della chiesa entrando dalla vetrata, con disegnata la colomba dello Spirito Santo, posta al di sopra della cattedra petrina sorretta dai padri della Chiesa. È un istante che induce alla commozione, nel centro della cristianità.
D'Annunzio si sofferma poi nel descrivere la bellezza delle quattro colonne tortili del baldacchino che sormonta l'altare, il cui bronzo è definito "pagano" in quanto il pontefice non esitò a spogliare niente meno che il Pantheon per consegnare il materiale al suo artista.
Tanta bellezza, in cui capolavori artistici divengono specchio della salvezza cristiana, offrono "alla faticosa anima umana un cielo" e sono per i visitatori una carezza in grado di spiegare il senso della fede e dell'eternità.
Intorno all'altare, prosegue il poeta, ardono una moltitudine di lampade che illuminano le due scale che scendono verso il luogo più sacro, la tomba di San Pietro, dove un tempo si trovava inginocchiata una immensa statua marmorea di papa Pio VI, opera di Antonio Canova, oggi visibile nelle Grotte Vaticane.
Il visitatore-autore si perde quasi in estasi dinanzi al sublime, mentre i suoi passi si perdono e il suo spirito torna cosciente ancora una volta rapito dalla luce proveniente dall'abside, dove l'io lirico si sofferma nella descrizione di un'ultima opera, la tomba di Paolo III Farnese realizzata intorno alla metà del XVI secolo da Guglielmo Della Porta e posta di fronte alla tomba di Urbano VIII del Bernini. Il Della Porta, uno dei pochi architetti ad aver avuto il privilegio di collocare un proprio sepolcro in San Pietro, trasse ispirazione dalle tombe di Michelangelo Buonarroti per la Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze, imponendosi come tramite fra il Cinquecento e il secolo successivo, tra Rinascimento e Barocco. A vegliare sulla figura del pontefice, posta in alto - seduto in atteggiamento riflessivo come tante sculture michelangiolesche - si vedono due figure femminili, allegorie delle virtù della Prudenza e della Giustizia. Curiosa è la storia della statua di sinistra, quella raffigurante la Giustizia, le cui fattezze sarebbero quelle di Giulia Farnese, amante di papa Alessandro VI Borgia e donna la cui straordinaria bellezza è avvolta nel mito, perfetta sintesi della poetica di un autore come d'Annunzio, capace di coniugare intensa spiritualità e passione carnale, poiché l'arte e la poesia sono espressione di tutto quello che affascina i nostri desideri più reconditi.

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