I pastori

Composta al tramonto dell'estate del 1903, un periodo di grande intensità creativa per Gabriele d'Annunzio, che in quei mesi aveva dato vita ad alcune liriche fra le più celebri di Alcyone ma anche alla tragedia La figlia di Iorio. Come per l'opera teatrale, il componimento ha per ambientazione la terra agreste abruzzese, luogo natale del poeta pescarese, in particolare quel momento in cui, col giungere di settembre, i pastori lasciano i pascoli dell'Appennino per scendere con il proprio gregge in pianura, dove trascorreranno la stagione invernale.
Le note della poesia, in armonia con il declino dell'estate, divengono malinconiche, così come lo stile dell'autore diviene quasi flebile, nostalgico e introspettivo, del tutto opposto rispetto al mito - tipico di poesie come La pioggia nel pineto - della metamorfosi panica in perfetta comunione con la natura. Ben si spiega così l'immagine della discesa dei pastori che ritornano mestamente a valle, dopo aver "bevuto profondamente ai fonti alpestri", illudendosi di poter non sentire più la sete - che non è solamente quella materiale, ma quella del cuore - e sperimentando quella sensazione che abbiamo provato tutti noi al sopraggiungere del periodo settembrino, come a conclusione di ogni periodo sereno, quando il cuore è accarezzato da una sottile amarezza che induce alla commozione. Il poeta cerca conforto nella fantasia, tornando con la memoria ai luoghi cari della giovinezza, dichiarando esplicitamente nell'interrogativo dell'ultimo verso la volontà di trovarsi insieme ai pastori, quasi a testimonianza di un insito desiderio di evadere da una vita perennemente caotica e mondana, recuperando nel passato una ragione più profonda e ritrovando quella bellezza che è propria delle cose più semplici.

Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono dall'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natìa
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh'esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l'aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquìo, calpestìo, dolci romori.

Ah perché non son io co' miei pastori?